Mario Rossi Monti e Francesca Piazzalunga
Macchine e deliri bizzarri. Psicopatologia dei disturbi dei confini dell’Io
Giovanni Fioriti Editore 2010, pp. 138, euro 19,00
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Il saggio che da il titolo alla raccolta inizia con il caso di A., un uomo di 40 anni che si comporta come se fosse una macchina. L’esperienza clinica diventa subito lo spunto per avviare una riflessione a tutto campo sulle implicazioni reciproche tra le rappresentazioni culturali della macchina e le sue declinazioni psicopatologiche. A, precisa Mario Rossi Monti- psichiatra, psicoanalista, professore all’università di Urbino e autore del saggio -, non ha letto La Mettrie, eppure parla, agisce e si muove proprio come se fosse realmente il suo “uomo-macchina”. Il paziente tratta il proprio corpo come un delicato marchingegno che richiede una manutenzione meticolosa e, soprattutto, una costante regolazione dell’energia per non cadere nei due estremi del vuoto depressivo e dell’esplosione maniacale. Sintonizzandosi sulla lunghezza d’onda del malato, il medico adotta il registro della macchina. Cosi, la terapia prende la forma di un lavoro di monitoraggio e co-regolazione delle energie meccanizzate di A., ma per lo psichiatra-autore costituisce anche un’occasione per scavare a fondo nelle ragioni culturali e psicologiche che possono spingere l’uomo a conformarsi al modello della macchina. Da Marinetti a Durkheim, da Marx a Gehlen, ricchi e puntuali sono i riferimenti che accompagnano il lettore in un percorso di esplorazione alla ricerca dei tratti peculiari della rappresentazione condivisa della macchina. Ne emerge che i principi che sono alla base della percezione comune e del potere di fascinazione della macchina sono gli stessi che la rendono più idonea ai deliri psicopatologici, e in particolare ai deliri legati ai disturbi dei confini dell’Io: perdita della soggettività, regolarità, accessibilità, capacità di sostituire, integrare, potenziare, estendere e agevolare l’apparato psicofisico dell’uomo.
Oltre “Macchine e deliri bizzarri” il libro comprende anche altri contributi di psicopatologia dei disturbi dei confini dell’Io: “Ai confini dell’identità. Il caso dei deliri bizzarri”, sempre di Mario Rossi Monti, e “Prospettiva neurocognitiva e neurofenomenologia nello studio dell’inserzione del pensiero. Il contributo di Christopher Frith”, “Senso di agency e alienazione nella schizofrenia. Il contributo di Shaun Gallagher” e “Coscienza di sè e inserzione del pensiero. Il contributo di Lynn Stephens e George Graham” di Francesca Piazzalunga. Il minimo comune denominatore di questi microsaggi è il tentativo di far luce su un sintomo molto specifico che ha però diverse varianti, e che consiste essenzialmente nel non riconoscere come propri i pensieri e le azioni che si compiono. «I disturbi dell’esperienza dell’Io» scriveva Kurt Schneider nella sua Psicopatologia clinica «consistono appunto in questo che i propri atti e stati non vengono vissuti come propri, ma come guidati e influenzati da altri». Si tratta, in altre parole, di un esperienza estrema di influenzamento che, a differenza delle comuni, quotidiane esperienze di influenzamento, ma anche a differenza dei lapsus e dei sogni, implicherebbe una perdita del senso di appartenenza a sè, e uno stato di passività e di permeabilità dei confini dell’Io. Le persone che sono affette da questo tipo di disturbo sentono che i pensieri gli vengono rubati (furto del pensiero) o, al contrario, inoculati attraverso qualche strano meccanismo (inserzione del pensiero).
Nel descrivere questo tipo di patologia Mario Rossi Monti si riallaccia espressamente alla tradizione fenomenologica, privilegiando la sfera dei vissuti. Suo auspicio è che si realizzi una convergenza interdisciplinare su temi di ricerca ben delimitati e specifici, e, soprattutto, che abbiano un riscontro nell’esperienza effettivamente vissuta dai pazienti, e che non siano soltanto generalizzazioni astratte di un quadro sintomatologico complesso, come lo è, per esempio, la cosiddetta schizofrenia.
L’intento del libro è quindi anche quello di portare in Italia un dibattito presente soprattutto oltreoceano. In quest’ottica Francesca Piazzalunga passa in rassegna diversi modelli che sono stati proposti per spiegare il fenomeno dell’inserzione del pensiero e l’alienazione nella schizofrenia. Il primo modello che incontriamo è quello di Christopher Frith, che tenta di spiegare i fenomeni di inserzione del pensiero come un difetto nel sistema di monitoraggio delle proprie azioni e dei propri pensieri. Lo psicologo inglese segue una pista ibrida tra neurologia e scienze cognitive che sarebbe molto proficua se non si distaccasse troppo dall’esperienza fenomenica. Al contrario Gallagher, cui è dedicato il secondo saggio della Piazzaluga, propone la ricerca di un modello ibrido che prenda però le mosse da un’analisi neurofenomenologica dell’esperienza. Il filosofo americano riflette sul senso dell’agency, che è la capacità del soggetto di agire. La sensazione di essere autori dei propri atti psichici e motori, che si distingue dal senso di appartenenza (ownership) degli atti è proprio ciò che verrebbe meno nelle esperienze di alienazione in cui, per esempio, il soggetto è consapevole che a muoversi sia il suo braccio ma non riconosce a sé la capacità generativa e la paternità dell’atto, che attribuisce a una presenza aliena, spesso a una macchina. Sul fronte dell’agency si sono contrapposti due diversi modelli esplicativi: il top down, che concepisce il mancato senso dell’agency come un errore di giudizio di ordine superiore, e il bottom up, che legge invece il sintomo come un’anomalia a livello della percezione e della coscienza primaria. Gallagher evidenzia i limiti di entrambi gli approcci e propone un ibrido che mette in tensione dialettica le due prospettive, mantenendo però ferme le prerogative del modello bottom up che permette allo psichiatra di restare aderente ai contenuti effettivi del vissuto del paziente.
Il saggio conclusivo è incentrato sul lavoro di due filosofi, Lynn Stephens e Gorge Graham, che si sono interessati alle esperienze di inserzione del pensiero e delle voci aliene per il contributo che possono portare alla conoscenza del funzionamento normale della coscienza.
Arrivati all’ultima pagina constatiamo che le domande sono ancora molte di più delle risposte, e che molte rappresentano altrettante finestre aperte sullo studio dei fenomeni normali della coscienza.
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