sabato 18 settembre 2010

LA STANZA CINESE

La Stanza cinese è un esperimento mentale ideato da John Searle. Esso è un controesempio della teoria dell'intelligenza artificiale forte. Alla base del ragionamento di Searle è che la sintassi (grammatica) non è equivalente alla semantica (significato). Searle presentò l'argomentazione della Stanza cinese nel suo articolo "Minds, Brains and Programs" (Menti, cervelli e programmi) pubblicato nel 1980 dalla rivista scientifica Behavioral and Brain Sciences (e in lingua italiana da Le Scienze)[1]. Da allora, è stato un pilastro del dibattito sull'ipotesi chiamata da Searle intelligenza artificiale forte. I sostenitori dell' intelligenza artificiale forte sostengono che un computer opportunamente programmato non sia solo la simulazione o un modello della mente, ma che esso possa essere una mente. Esso cioè capisce, ha condizioni conoscitive e può pensare. L'argomento di Searle (o meglio, l'esperimento mentale) si oppone a questa posizione. L'argomentazione della stanza cinese è la seguente: Si supponga che, nel futuro, si possa costruire un computer che si comporti come se capisse il cinese. In altre parole, il computer prenderebbe dei simboli cinesi in ingresso, consulterebbe una grande tabella che gli consenta di produrre altri simboli cinesi in uscita. Si supponga che il comportamento di questo computer sia così convincente da poter facilmente superare il test di Turing. In altre parole, il computer possa convincere un uomo che parla correttamente cinese (per esempio un cinese) di parlare con un altro uomo che parla correttamente cinese, mentre in realtà sta parlando con un calcolatore. A tutte le domande dell'umano il computer risponderebbe appropriatamente, in modo che l'umano si convinca di parlare con un altro umano che parla correttamente cinese. I sostenitori dell'intelligenza artificiale forte concludono che il computer capisce la lingua cinese, come farebbe una persona, in quanto non c'è nessuna differenza tra il comportamento della macchina e di un uomo che conosce il cinese. Ora, Searle chiede di supporre che lui si sieda all'interno del calcolatore. In altre parole, egli si immagina in una piccola stanza (la stanza cinese) dalla quale riceva dei simboli cinesi, e una tabella che gli consenta di produrre dei simboli cinesi in uscita in modo identico a quanto faceva il programma seguìto dal calcolatore. Searle fa notare che egli non capisce i simboli cinesi. Quindi la sua mancanza di comprensione dimostra che il calcolatore non può comprendere il cinese, poiché esso è nella sua stessa situazione. Il calcolatore è un semplice manipolatore di simboli, esattamente come lo è lui nella stanza cinese - e quindi i calcolatori non capiscono quello che stanno dicendo tanto quanto lui.

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mercoledì 15 settembre 2010

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Lo strano caso dell’uomo-macchina « Nicocara's Blog

Mario Rossi Monti e Francesca Piazzalunga
Macchine e deliri bizzarri. Psicopatologia dei disturbi dei confini dell’Io
Giovanni Fioriti Editore 2010, pp. 138, euro 19,00

Ordina su Ibs

Il saggio che da il titolo alla raccolta inizia con il caso di A., un uomo di 40 anni che si comporta come se fosse una macchina. L’esperienza clinica diventa subito lo spunto per avviare una riflessione a tutto campo sulle implicazioni reciproche tra le rappresentazioni culturali della macchina e le sue declinazioni psicopatologiche. A, precisa Mario Rossi Monti- psichiatra, psicoanalista, professore all’università di Urbino e autore del saggio -, non ha letto La Mettrie, eppure parla, agisce e si muove proprio come se fosse realmente il suo “uomo-macchina”. Il paziente tratta il proprio corpo come un delicato marchingegno che richiede una manutenzione meticolosa e, soprattutto, una costante regolazione dell’energia per non cadere nei due estremi del vuoto depressivo e dell’esplosione maniacale. Sintonizzandosi sulla lunghezza d’onda del malato, il medico adotta il registro della macchina. Cosi, la terapia prende la forma di un lavoro di monitoraggio e co-regolazione delle energie meccanizzate di A., ma per lo psichiatra-autore costituisce anche un’occasione per scavare a fondo nelle ragioni culturali e psicologiche che possono spingere l’uomo a conformarsi al modello della macchina. Da Marinetti a Durkheim, da Marx a Gehlen, ricchi e puntuali sono i riferimenti che accompagnano il lettore in un percorso di esplorazione alla ricerca dei tratti peculiari della rappresentazione condivisa della macchina. Ne emerge che i principi che sono alla base della percezione comune e del potere di fascinazione della macchina sono gli stessi che la rendono più idonea ai deliri psicopatologici, e in particolare ai deliri legati ai disturbi dei confini dell’Io: perdita della soggettività, regolarità, accessibilità, capacità di sostituire, integrare, potenziare, estendere e agevolare l’apparato psicofisico dell’uomo.

Oltre “Macchine e deliri bizzarri” il libro comprende anche altri contributi di psicopatologia dei disturbi dei confini dell’Io: “Ai confini dell’identità. Il caso dei deliri bizzarri”, sempre di Mario Rossi Monti, e “Prospettiva neurocognitiva e neurofenomenologia nello studio dell’inserzione del pensiero. Il contributo di Christopher Frith”, “Senso di agency e alienazione nella schizofrenia. Il contributo di Shaun Gallagher” e “Coscienza di sè e inserzione del pensiero. Il contributo di Lynn Stephens e George Graham” di Francesca Piazzalunga. Il minimo comune denominatore di questi microsaggi è il tentativo di far luce su un sintomo molto specifico che ha però diverse varianti, e che consiste essenzialmente nel non riconoscere come propri i pensieri e le azioni che si compiono. «I disturbi dell’esperienza dell’Io» scriveva Kurt Schneider nella sua Psicopatologia clinica «consistono appunto in questo che i propri atti e stati non vengono vissuti come propri, ma come guidati e influenzati da altri». Si tratta, in altre parole, di un esperienza estrema di influenzamento che, a differenza delle comuni, quotidiane esperienze di influenzamento, ma anche a differenza dei lapsus e dei sogni, implicherebbe una perdita del senso di appartenenza a sè, e uno stato di passività e di permeabilità dei confini dell’Io. Le persone che sono affette da questo tipo di disturbo sentono che i pensieri gli vengono rubati (furto del pensiero) o, al contrario, inoculati attraverso qualche strano meccanismo (inserzione del pensiero).

Nel descrivere questo tipo di patologia Mario Rossi Monti si riallaccia espressamente alla tradizione fenomenologica, privilegiando la sfera dei vissuti. Suo auspicio è che si realizzi una convergenza interdisciplinare su temi di ricerca ben delimitati e specifici, e, soprattutto, che abbiano un riscontro nell’esperienza effettivamente vissuta dai pazienti, e che non siano soltanto generalizzazioni astratte di un quadro sintomatologico complesso, come lo è, per esempio, la cosiddetta schizofrenia.

L’intento del libro è quindi anche quello di portare in Italia un dibattito presente soprattutto oltreoceano. In quest’ottica Francesca Piazzalunga passa in rassegna diversi modelli che sono stati proposti per spiegare il fenomeno dell’inserzione del pensiero e l’alienazione nella schizofrenia. Il primo modello che incontriamo è quello di Christopher Frith, che tenta di spiegare i fenomeni di inserzione del pensiero come un difetto nel sistema di monitoraggio delle proprie azioni e dei propri pensieri. Lo psicologo inglese segue una pista ibrida tra neurologia e scienze cognitive che sarebbe molto proficua se non si distaccasse troppo dall’esperienza fenomenica. Al contrario Gallagher, cui è dedicato il secondo saggio della Piazzaluga, propone la ricerca di un modello ibrido che prenda però le mosse da un’analisi neurofenomenologica dell’esperienza. Il filosofo americano riflette sul senso dell’agency, che è la capacità del soggetto di agire. La sensazione di essere autori dei propri atti psichici e motori, che si distingue dal senso di appartenenza (ownership) degli atti è proprio ciò che verrebbe meno nelle esperienze di alienazione in cui, per esempio, il soggetto è consapevole che a muoversi sia il suo braccio ma non riconosce a sé la capacità generativa e la paternità dell’atto, che attribuisce a una presenza aliena, spesso a una macchina. Sul fronte dell’agency si sono contrapposti due diversi modelli esplicativi: il top down, che concepisce il mancato senso dell’agency come un errore di giudizio di ordine superiore, e il bottom up, che legge invece il sintomo come un’anomalia a livello della percezione e della coscienza primaria. Gallagher evidenzia i limiti di entrambi gli approcci e propone un ibrido che mette in tensione dialettica le due prospettive, mantenendo però ferme le prerogative del modello bottom up che permette allo psichiatra di restare aderente ai contenuti effettivi del vissuto del paziente.

Il saggio conclusivo è incentrato sul lavoro di due filosofi, Lynn Stephens e Gorge Graham, che si sono interessati alle esperienze di inserzione del pensiero e delle voci aliene per il contributo che possono portare alla conoscenza del funzionamento normale della coscienza.
Arrivati all’ultima pagina constatiamo che le domande sono ancora molte di più delle risposte, e che molte rappresentano altrettante finestre aperte sullo studio dei fenomeni normali della coscienza.

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Pubblicato in: on 15 settembre 2010 at 10:12 am  Lascia un commento  

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    browsernik - Sette strategie per sopravvivere alle crisi

    “Sopravvivere alle crisi. Sette lezioni di vita” è l’ultimo saggio di Jacques Attali, un grande studioso di economia esperto di futurologia (www.fazieditore.it, 2010). Attali adotta una prospettiva eclettica e pragmatica e ci offre un manuale molto snello e agile per aiutarci a vivere la vita come persone, cittadini e lavoratori liberi e intraprendenti. Quindi il saggio non contiene programmi politici, ma ci indica alcuni percorsi di riadattamento e di miglioramento individuale. Nei momenti di crisi è possibile cercare le vie di fuga tra una sventura e l’altra, adottando nuove strategie di sopravvivenza, senza affidarsi troppo agli altri. Infatti gli stati di crisi possono riservare alcune inaspettate opportunità e possono rendere migliori gli individui e le società. Attali ci indica sette strategie principali: il rispetto di sé, l’intensità, l’empatia, la resilienza, la creatività, l’ubiquità, il pensiero rivoluzionario. 1) Il rispetto di sé. Occorre sfuggire i gorghi della sopravvivenza per seguire una ragione di vita. Non bisogna svendersi e occorre accettare la verità anche se non è piacevole. 2) L’intensità. È meglio stabilire obiettivi di medio e lungo periodo, anche se “si vive una volta sola, e bisogna vivere ogni momento come se fosse l’ultimo”. Non buttate via gli anni migliori della giovinezza rendendovi schiavi di un lavoro specialistico che non offre prospettive di crescita per il futuro. Rendete la vita più significativa svolgendo più attività. 3) L’empatia. Per comprendere le ragioni degli avversari o degli alleati bisogna essere amabili e mettersi al posto degli altri con umiltà e senza pregiudizi. E “una delle tecniche più efficaci per farsi un’opinione sul carattere di qualcuno e sui suoi comportamenti futuri consiste nel cercare di ritrovare nel suo viso da adulto le tracce del bambino di un tempo. Se, così facendo, è possibile riconoscerlo, vuol dire che in generale ha conservato la freschezza e l’integrità e che ci si può alleare con lui” (p. 119). 4) La resilienza. Bisogna adottare un atteggiamento stoico per affrontare le minacce con le giuste difese ed eventuali piani alternativi. Se si perde una battaglia non significa che si è persa la guerra. 5) La creatività. Le persone flessibili, coraggiose e intelligenti trasformano i propri punti di debolezza in vantaggi concreti e riescono a limitare i vantaggi della forza dell’avversario. 6) L’ubiquità. A volte bisogna modificare l’identità e anche cambiare radicalmente posizione imitando i comportamenti degli avversari. Occorre abolire gli atteggiamenti pregiudiziali. 7) Il pensiero rivoluzionario. In questo caso “occorre essere pronti, in una congiuntura estrema, in situazione di legittima difesa, a osare il tutto per tutto, a forzare se stessi, ad agire contro il mondo violando le regole del gioco, pur persistendo nel rispetto di sé”. Poco prima dell’inizio della seconda guerra mondiale André Gide scrisse: “Il mondo sarà salvato, se mai potrà esserlo, soltanto da coloro che non si sottomettono. Senza di loro, ne va della nostra civiltà, della nostra cultura, di ciò che amiamo e che dà alla nostra presenza sulla Terra una giustificazione segreta. Questi ribelli sono “il sale della Terra” e i responsabili di Dio”. Secondo Attali i settori economici più promettenti saranno quelli legati alle nanotecnologie, alle biotecnologie (www.linv.org), alle scienze cognitive e alle tecnologie dell’informazione (3D, cloud computing, parallel processing, web semantico, tracciabilità, i costi energetici delle banche dati). Comunque l’economista francese descrive molto bene anche l’evoluzione della varie “porcate finanziarie” delle banche d’affari (che continuano in parte ancora oggi). E sottolinea un punto fondamentale: a differenza delle perdite delle banche che sono state in buona parte assorbite dai bilanci statali grazie ai soldi dei cittadini e all’aumento debito pubblico, “I fondi di investimento invece (che hanno 400 miliardi di debiti da pagare nei prossimi cinque anni) faranno molta fatica a finanziarsi, se non svendendo i loro attivi o provando a ottenere un prolungamento dei tempi dei prestiti. Allora tutto si bloccherebbe: senza finanziamenti… sarebbe impossibile una ripresa dell’investimento” nell’economia reale (p. 68). E più un albero è grande, più attira vento (proverbio cinese). Io posso consigliare di apprendere fin da bambini almeno due lingue straniere e di leggere più saggi per ampliare la mente e superare la deriva iperspecialistica della formazione accademica. E in particolare posso affermare che il riciclaggio dei rifiuti, il risparmio energetico e i prodotti e i servizi relativi alle persone anziane sono già il business del presente e saranno i grandi business del futuro (di certo in Italia non abbiamo più bisogno di avvocati, di medici e di operatori finanziari). Infine, è molto probabile una “riduzione della durata settimanale e annuale del lavoro, coniugata però a una vita lavorativa sempre più lunga”. E per godersi la vita è meglio seguire la strada indicata da Gandhi: “Siate voi stessi il cambiamento che volete vedere nel mondo”. Jacques Attali (www.attali.com) è stato consigliere di Mitterrand e primo presidente della Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo. Nonostante l’orientamento di sinistra ha presieduto la Commissione per la Liberazione della Crescita nel governo Sarkozy. Tra le numerose pubblicazioni segnalo “Amori. Storia del rapporto uomo-donna” (2008) e “Breve storia del futuro” (2007). Attualmente dirige “Planet Finance” (www.planetfinancegroup.org), Organizzazione Non Governativa per la diffusione della microfinanza nei paesi in via di sviluppo.

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