sabato 4 giugno 2011

“Aenigma est”. È l’elegantissimo bigliettino di Giulio Paolini la migliore chiosa per il Padiglione Italia… : Artribune

“Aenigma est”. È l’elegantissimo bigliettino di Giulio Paolini la migliore chiosa per il Padiglione Italia…

Senti un po’ in giro, per capire altri come la pensano, e ti accorgi che nessuno l’ha neanche visto. E non c’è da stupirsi, nella selva di tele, casse di legno, improbabili espositori che caratterizza il Padiglione Italia. Appartato, silenzioso e timido nel luogo dove invece l’arte urla. È l’opera con cui Giulio Paolini partecipa al caotico allestimento promosso da Sgarbi: una teca di plexiglas con un semplice bigliettino che fuoriesce dalla sua busta, svelando il dechirichiano contenuto. “Et quid amabo nisi quod aenigma est?”, vi si legge. Forse l’unica chiosa possibile alla presenza italiana…

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Non vi è piaciuta Bice Curiger? Potete sempre andare al Padiglione Danese e calpestarla… : Artribune

Non vi è piaciuta Bice Curiger? Potete sempre andare al Padiglione Danese e calpestarla…

Il volto di Bice Curiger istoriato sul pavimento del Pavilion for Revolutionary Free Speech

C’è il volto del presidente della Biennale di Venezia Paolo Baratta, a fianco di quello di un’inatteso Giulio Andreotti. E poi ci sono Angela Merkel, Silvio Berlusconi, Papa Benedetto XVI, Ignazio La Russa, Daniela Santanchè. Tutti meritevoli, per qualche ragione, eminentemente politico-sociale, di essere calpestati.
E così l’artista tedesco Thomas Kilpper ha istoriati i loro volti sul pavimento del Pavilion for Revolutionary Free Speech, installazione presente nell’ambito del Padiglione Danese, invitando i visitatori a camminarci sopra. Curiosità: c’è anche il suo, di volto, quello dell’artista stesso, che chissà per quale ragione si offre al pubblico calpestio. Ma soprattutto c’è lei, Bice Curiger: una buona occasione per qualche visitatore deluso, per prendersi una rivincita sulla paziente – in effigie – curatrice svizzera…

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Perché I love la Biennale di Venezia : Artribune

erché I love la Biennale di Venezia

E se il fascino irresistibile della Biennale di Venezia fosse dovuto al suo carattere anarchico, ibrido e complesso? E di conseguenza alla sua mancanza di governabilità? Una riflessione a margine. Anzi, al centro stesso della kermesse.

L'installazione di Monica Bonvicini che chiude la mostra internazionale all'Arsenale - photo Valentina Grandini

La Biennale di Venezia è la mostra che i critici amano maggiormente attaccare, e a ragione: per ogni gusto e attitudine c’è sempre qualcosa da obiettare. Secondo un rito che si ripete ogni due anni, almeno tre sono le lagnanze ricorrenti: ipotizzare una lista alternativa di artisti che avrebbero dovuto essere invitati; stare a sottilizzare sul concept della mostra; concentrarsi sui difetti di una singola opera, che così fa da parafulmine per l’intera Biennale.
Giustificate o meno che possano risultare, queste obiezioni fatalmente falliscono ogni volta, perché mancano il bersaglio vero: catturare l’esperienza della Biennale che viene vissuta. La Biennale di Venezia è enorme, caotica, informe e decentrata, per cui riesce a eludere anche il critico più attrezzato e prevenuto, sfidando ogni lettura generale a priori. Si può sempre solo commentarne una parte, mai il tutto. D’altro canto, proprio per la sua vastità, e per il fatto di essere composta di così tante parti semi-indipendenti, se non addirittura di elementi totalmente disparati, commentarne una sezione risulta comunque patetico e inadeguato rispetto alla sua soverchiante complessità.

Marinella Senatore, Estman Radio Drama, 2011, installazione, lettori CD, cuffie, legno suono, tecniche miste, photo by Valentina Grandini

La Biennale non è governata da un solo modus operandi rispetto alla decisione su quali artisti includere, quale approccio adottare, quale strategia assumere. Ogni Padiglione nazionale ha il proprio metodo per scegliere il suo curatore, e interpreta la sua mission secondo i propri parametri, al punto che si è anche deciso di inserire artisti di altre nazioni, e persino di invitare non-artisti. Il Direttore/Curatore controlla la mostra ai Giardini e all’Arsenale, dove effettivamente può muoversi a briglie sciolte. In alcune edizioni, la grande esposizione internazionale è stata scissa in due diverse mostre, curate da due diversi curatori. La Biennale non soltanto offre un guazzabuglio di opere diverse, ma è anche supportata da una miriade di modalità curatoriali e decisionali.
La Biennale che conosciamo è ancora più vasta e complessa: accanto alla Biennale in sé ci sono innumerevoli progetti che la usano come piattaforma, e di cui essa rende possibile la stessa esistenza. Tra questi, ci sono i progetti patrocinati dalla Biennale, come Robot Radio di ARTonAIR.org in questa edizione, con cui collaboro; le mostre indipendenti organizzate presso diversi musei e fondazioni (il museo Fortuny, Prada, Querini Stampalia ecc.); eventi gangster e azioni antagoniste o di critica istituzionale organizzati al di fuori dei canali ufficiali, come lo “sleep in” concepito quest’anno da ConiglioViola. Se consideriamo l’intera costellazione di progetti che orbita intorno alla Biennale, sia la forma che i contenuti degli elementi che compongono il quadro generale, per come lo viviamo, sembrano non avere limiti.

Sigmar Polke, veduta dell'installazione, photo by Valentina Grandini

La sua spalmata, ibrida, disorganizzata, “aperta” natura è ciò che rende la Biennale entusiasmante. Paradossalmente, questo suo pregio ha un rapporto tenue con i contenuti prettamente artistici in mostra, ma non per questo l’arte esposta ne soffre. Da un lato, i contributi artistici validi brillano, e nell’arco dei decenni ce ne sono stati molti memorabili; dall’altro, però, la Biennale risulta folgorante a prescindere dai suoi picchi. Si potrà dire che la Biennale è incostante sia nella qualità che secondo qualsiasi altro parametro di lettura, eppure l’esperienza che se ne fa è sempre intensa e significativa. Infatti, il suo imprevedibile non-formato è di gran lunga più pertinente, convincente e adatto nel contesto di oggi, rispetto alla grande mostra gerarchica, pilotata dall’alto e perfettamente coerente, confezionata seguendo il modello stanco e consumato del curatore-guida eminente, che in definitiva espone più se stesso che ciò che presenta.

Omer Fast, Five Thousand Feet is the Best, still da video, photo by Valentina Grandini

L’anarchia della Biennale di Venezia è ciò che non soltanto la rende significante, ma che ne garantisce la sopravvivenza. In Italia, dove sfortunatamente la classe politica tratta la cultura come un bottino da gestire con logiche clientelari, senza considerarne i meriti e le potenzialità di visione, è proprio questa sua polivalenza e frammentarietà, a salvare la Biennale da una morte sicura per accaparramento politico. I tentativi di lottizzarla e di trasformarla in una scacchiera per manovre intestine di potere continuano tuttora, ma per fortuna si tratta di un terreno troppo caotico, quindi in definitiva inafferrabile. La Biennale è l’Afghanistan degli uomini di potere ed è la sua indomabile decentrata complessità a renderla ogni volta un grande evento e una grande esperienza.

 

Daniela Salvioni

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Dietro le quinte degli effetti speciali di X-Men L'inizio - Wired.it

Dietro le quinte degli effetti speciali di X-Men L'inizio

La scena più difficile da realizzare? La trasformazione di Hank McCoy da umano a pelosa Bestia. Ma anche quella in cui Magneto distrugge una nave non è stata facile. Ce le racconta Daniele Bigi, look developer e lead lighter per l'ultimo film dei mutanti Marvel

03 giugno 2011 di Andrea Giordano

x-men l'inizio

x-men l'inizio

 

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    x-men l'inizio

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L’ 8 giugno uscirà finalmente nelle sale cinematografiche italiane (distribuito dalla Twentieth Century Fox) il quinto e atteso episodio della saga di fumetti degli X-Men, apparsa per la prima volta nel 1963 e che dal 2000 (anno del primo X-Men) al 2009 ( X – Men le origini:Wolverine) ha calamitato l’attenzione dei numerosi appassionati del genere, riuscendo quasi sempre ad essere campione d’incassi.

Il nuovo X-Men L’inizio ( X-Men First Class), affidato questa volta allo sguardo del regista e sceneggiatore inglese Matthew Vaughn, è ambientato negli anni ’60 e racconta una vicenda segreta legata al periodo della Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia, in cui il mondo si ritrova ben presto sull’orlo di una battaglia nucleare, una pellicola che si preannuncia già di grande effetto, e che potrà contare sulla presenza di attori come James McAvoy ( Le cronache di Narnia, L’ultimo re di Scozia), Jennifer Lawrence ( Winter’s Bone) o Kevin Bacon ( L’uomo senza ombra), ma che soprattutto sarà un viaggio d’indagine per i tanti fan per riuscire finalmente a fare luce sui tanti punti oscuri riguardo ai protagonisti della serie e al loro passato.

Dietro agli effetti speciali c’è ancora Daniele Bigi, look developer e lead lighter comasco, da anni emigrato all’estero a lavorare in grossi studios d’animazione, all’inizio negli Stati Uniti ad Atlanta, poi a Berlino, a Bangalore in India, fino a sbarcare in Inghilterra alla Framestore prima e dal settembre 2008 nella prestigiosa Moving Picture Company (Mpc) di Londra.

Molti infatti i successi professionali ottenuti fino a questo momento da Bigi, dai lavori con Le Cronache di Narnia: il principe CaspianPrince of Persia, The Wolfman, fino all’ultimo Harry Potter e i doni della Morte, un’escalation qualitativa, che lo vede sempre più protagonista nel campo degli effetti speciali.

Prossima sfida infatti sarà quella ambiziosa e affascinante riguardante il nuovo lavoro di Ridley Scott, il cosiddetto prequel di Alien, Prometheus, di cui lo stesso Bigi e la Mpc hanno già cominciato a lavorare sulle prime scene.

Come avete lavorato a questo nuovo progetto?

“Abbiamo iniziato a lavorare a questo progetto intorno alla metà di novembre/inizio dicembre 2010 quando sono cominciati ad arrivarci i primi shot, circa 150 scene poi in totale, diverse tra di loro, ma soprattutto molto complesse da realizzare, in particolare come quelle riguardanti la trasformazione del personaggio della Bestia (interpretato nella pellicola da Nicholas Hoult)”. 

Quali sono le scene sulle quali avete maggiormente lavorato?

“C’è una scena in cui appunto il personaggio della Bestia inizia a trasformarsi, in particolare quella del piede che cambia colore e da umano diventa poi simile a quello di una scimmia, che abbiamo realizzato con la tecnica del morphing 3D (letteralmente metamorfosi e che consiste in un’animazione di trasformazione da un oggetto ad un altro), e che in Mpc chiamavamo transformation sequence.

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Sei psicopatico? Ecco il test per scoprirlo

La storia

Sei psicopatico? Ecco il test per scoprirlo

4 giugno 2011

Temi che un giorno anche tu ti affaccerai alla porta distrutta del bagno urlando “Wendyyy”? Finalmente puoi scoprirlo

Gli psicopatici sono dappertutto: fra i vostri conoscenti o familiari, semplici passanti, addirittura voi stessi. Certo, non tutti sono assassini, psicopatici o stupratori, ma sembra che almeno uno su 100 nel mondo abbia tendenze psicopatiche: anche medici, banchieri, preti o soldati.

PROFILO – Uno psicopatico è caratterizzato da cose come la mancanza di paura, la bassa ansia, la capacità di persuasione, il fascino superficiale, una certa crudeltà e la mancanza di coscienza. Ovviamente queste sono le caratteristiche minime: sono tanti altri aspetti della personalità che poi fanno dello psicopatico un assassino o un semplice malato. Prima di correre a comprare un’ascia, rispondi alle domande di questo test scegliendo da una scala 0-3 quanto concordi con la frase. E scopri se puoi essere il nuovo Norman Bates

TEST

1. Raramente pianifico in anticipo. Sono una persona che prende le decisioni sul momento 0 1 2 3

2. Va bene tradire il proprio partner senza farsi beccare 0 1 2 3

3. Se arriva qualcosa di meglio, si può cancellare anche un appuntamento preso già da tempo 0 1 2 3

4. Vedere un animale morto o ferito non mi tocca affatto 0 1 2 3

5. Guidare macchine veloci, fare equitazione, le montagne russe, e il paracadutismo sono attività che mi attraggono molto 0 1 2 3

6. Non importa se devo calpestare altre persone per ottenere ciò che voglio 0 1 2 3

7. Sono molto persuasivo. Ho un vero talento per ottenereda gli altri quello che voglio 0 1 2 3

8. Svolgerei bene un lavoro pericoloso, perché la mia mente lavora in fretta sulle decisioni 0 1 2 3

9. Trovo facile mantenere la calma anche in situazioni in cui gli altri sono sotto pressione o scoppiano 0 1 2 3

10. Se riesci a provocare danno a qualcuno o contrastarlo, è un problema suo. Evidentemente se lo merita 0 1 2 3

PROFILI

0-10: Basse tendenze

11-15: Medie tendenze rivolte al basso

16-20: Media tendenza

21-25: Alta tendenza

26-30: Tendenza molto alta

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venerdì 3 giugno 2011

Filosofia: manoscritto dell'Etica di Spinoza scoperto nella Biblioteca Vaticana - Adnkronos Cultura

Filosofia: manoscritto dell'Etica di Spinoza scoperto nella Biblioteca Vaticana

ultimo aggiornamento: 03 giugno, ore 17:36


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Roma, 3 giu. - (Adnkronos) - Un manoscritto dell'''Etica'' del filosofo olandese Baruch Spinoza (1632-1677) e' stato scoperto tra i codici della Biblioteca Vaticana. Il ritrovamento si deve a Pina Totaro, ricercatrice dell'Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee del Consiglio Nazionale delle Ricerche, e a Leen Spruit, professore olandese di storia della filosofia all'Universita' ''La Sapienza'' di Roma.

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Il testo, copiato da Pieter van Gent, amico di Spinoza, e portato a Roma dal celebre anatomista danese Niels Stensen (anch'egli conoscente del filosofo olandese di famiglia ebraica), che lo consegno' all'Inquisizione dopo la sua conversione al cattolicesimo, costituisce la prima e l'unica versione manoscritta attualmente nota del capolavoro spinoziano, l'''Etica more geometrico demonstrata''.

Il manoscritto datato 1675 verra' pubblicato presso la casa editrice olandese Brill di Leiden, che ha annunciato l'eccezionale scoperta. Le varianti del manoscritto forniranno ulteriori materiali per la preparazione della nuova edizione critica delle opere di Spinoza in corso presso Puf (Parigi) sotto la direzione di Pierre-François Moreau.


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