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PIXAR ispira l'arte
Post n°256 pubblicato il 23 Novembre 2011 da BROWSERIK
Tag: John Lasseter, Media Guru, Pixar
Lasseter, Pixar: “Sfidiamo la tecnologia per ispirare l’arte” Gli studi di animazione di Steve Jobs compiono 25 anni. A Milano per Meet the media guru, Wired.it ha intervistato John Lasseter. La Pixar? Un'idea e la tecnologia migliore “ L’arte sfida la tecnologia e la tecnologia ispira l’arte”,
parola di John Lasseter Massimo guru dell’animazione moderna, incarnazione del sogno americano, ma soprattutto fondatore, insieme a Steve Jobs e ad Ed Catmull, di quella che oggi è considerata una delle botteghe rinascimentali più influenti e di tendenza, una delle Major più importanti nel panorama artistico-cinematografico, la Pixar Animation Studios.
Da quel lontano 1986 sono passati 25 anni, sembrano volati tanti sono stati i successi, i sogni realizzati, i traguardi raggiunti, quelli di Lasseter soprattutto, che chissà ancora quanti ne condividerà. A Milano per presentare la mostra - evento per festeggiare l’ambìto traguardo (dal 23 novembre fino al 14 febbraio 2012 in anteprima europea) al Pac di Milano (una rassegna di personaggi, storie, immagini, schizzi originali, sculture, digital convergence, installazioni, unica nel suo genere), Lasseter incontra i giovani, interagisce con loro, fa lezioni di graphic design e storyboard, racconta se stesso e la Pixar nello scenario sold out del Teatro dal Verme per Meet the media guru, regalando due chicche speciali come il suo primo lavoro da studente, Nitemare (del 1979) e una piccola perla come Toy Story Toons – Small Fry, ma soprattutto si svela così come abbiamo imparato a conoscerlo, una persona semplice che non ha smesso un solo giorno di sperimentare e raccontare storie. Dai primi cortometraggi ( Tin Toy, Luxo Jr.) fino alla consacrazione di Toy Story e poi ancora Cars, Alla ricerca di Nemo, Wall-E, Up, Toy Story 2 e 3, fino al prossimo Brave (in Italia dal settembre 2012) ogni singola opera racconta un mondo diverso, una ricerca di linguaggi e di intrecci, una rivoluzione emozionale e tecnica sempre più sofisticata in un lavoro corale di altissimo livello e perfezione stilistica.
Qual è il valore in più di Pixar rispetto agli altri?
“È difficile entrare nei dettagli, io sono solo il Chief Creative Officer. Penso che lo sviluppo tecnico vada di pari passo con quello artistico. Personalmente sono innamorato e curioso della computer animation, e quindi voglio sempre sapere come funzionano i software che andiamo a utilizzare anche se non so nulla di programmazione: non ho mai imparato a programmare. Fondamentalmente la tecnologia si unisce all’arte: da una parte ci sono io, dall’altra i programmatori; io chiedo se è possibile realizzare qualcosa e loro ragionano su come renderlo possibile, stimolando di conseguenza altre idee e suggerimenti”.
La vostra forza è legata anche alla grande sperimentazione in campo di nuovi software e tecnologie, come state lavorando e cosa avete sviluppato di recente?
“La tecnologia può essere divisa in tre diverse aree: una parte legata alla modellizzazione tridimensionale, poi l’animazione (e quindi i personaggi), e infine il rendering, che è composto dal colore con tutte le sue sfumature e ovviamente dalla luce. All’inizio, abbiamo adottato un software sia per i modelli sia per l’animazione: era molto importante che potesse essere utilizzato dagli animatori tradizionali. Doveva essere interattivo per muovere i personaggi e abbastanza flessibile per adattarsi a ogni singola pellicola. Il nostro sistema si chiama MenV (Model Environment) e l’abbiamo usato anche per Brave, mentre dai prossimi utilizzeremo il MenV30. Poi chiaramente utilizziamo molto Renderman, che ci permette di creare tutte le nuances cromatiche, ma questi sistemi non sono sempre gli stessi poiché cambiano, si evolvono o si adattano in base a nuove esigenze, come nel caso nel personaggio di Sulley in Monster & Co., oppure per la creazione del mondo sottomarino ne Alla ricerca di Nemo, o per i riflessi delle automobili in Cars. Questa è la nostra tecnologia di base, che muta però a seconda di quello che vogliamo ricreare.
Il lavoro alla Pixar è iper-tecnologico. Il processo creativo è davvero così tecnico?
"La tecnologia nell’animazione, almeno quella che piace a me e che continuo a sviluppare, comprende il lavoro umano da una parte e dall’altra quello della macchina. Mentre l’uomo si prende cura della recitazione emotiva, il computer si fa carico dell’animazione propriamente fisica. Per esempio, quando si tratta di capelli, vestiti, o le ruote delle automobili che girano, l’animazione deve risultare molto credibile e realistica e, per far sì che il risultato sia di alto livello, risolvendo spesso situazioni che in apparenza ci appaiono complesse, cerchiamo di tirare fuori il massimo dai nostri software. Poi chiaramente è di nuovo l’animatore a subentrare e a lavorare sulla parte più emozionale. Cerchiamo nuove sfide, tutti i giorni, aggiornandoci e sviluppando nuove potenzialità. In Brave, per esempio, abbiamo creato effetti nuovi riguardanti degli animali pesanti come un cavallo o un orso che, oltre ad avere dei grandi muscoli che si contraggono e si espandono sotto la pelliccia, daranno proprio una grande idea di movimento" .
Cosa ne pensa del cortometraggio La luna, realizzato per voi dal regista italiano Enrico Casarosa?
“Casarosa è un artista di grande talento, uno dei quei registi che sono il motore della nostra famiglia. L’ho molto incoraggiato a realizzare questo lavoro, anche perché noi alla Pixar non realizziamo soltanto film per far successo al botteghino, ma lavoriamo molto sulla crescita dei nostri giovani, facendo ricerca e sviluppo. Talvolta ci sono delle storie personali, ma fortemente straordinarie, che meritano di essere raccontate, proprio come quella ne La luna, che sono perfette per dei cortometraggi. Sono molto fiero di Casarosa, anche pensando al suo futuro qui da noi, e il suo è stato un lavoro davvero magico e commovente. Le pellicole della Pixar sono a metà tra l’animazione e il film reale girato con persone ed ambienti veri, però la sfida sta proprio nel capire dove sta il confine tra l’uno e l’altra. La differenza la fanno i particolari, che fanno sì che le nostre siano opere uniche nel proprio genere.”