Post n°240 pubblicato il 07 Ottobre 2011 da BROWSERIKTag: scienze cognitiveL’esistenza di fenomeni di integrazione audiovisiva spiega perché la vista del labiale favorisce la comprensione dei suoni linguistici, cosa che non avviene per esempio al telefono
Un trombettista soffia nello strumento, gonfiando le guance: l’immagine è familiare e – ovviamente – muta ma non del tutto, almeno per il nostro cervello, perché contiene un riferimento all’udito. Un nuovo studio di un gruppo di ricercatori italiani guidati da Alice Mado Proverbio, docente di psicobiologia dell’Università di Milano-Bicocca, ha scoperto infatti che quando osserviamo una simile immagine si attiva non solo la corteccia visiva, ma anche quella uditiva (in soli 110 millisecondi), e in particolare il giro temporale superiore (BA38). Lo stesso fenomeno non si verifica invece se nell’immagine non ci sono riferimenti sonori. “Il meccanismo si basa sui neuroni specchio audiovisivi e consente al nostro cervello, per esempio, di ricavare l’immagine di un gatto ascoltando il suo miagolio o la voce di una persona guardando una sua foto”, ha spiegato la Proverbio che, con i colleghi Roberta Adorni e Guido D’Aniello, e con Alberto Zani, dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del CNR di Milano (Ibfm-Cnr), firma un articolo di resoconto sulla rivista Scientific Reports.
“I neuroni audiovisivi sono responsabili anche di fenomeni quali le allucinazioni uditive, se sollecitati da stati emotivi particolari come la paura. Basti pensare a quando, condizionati dal buio, crediamo di avvertire rumori che temiamo - scricchiolii, rumore di passi - nonostante il perfetto silenzio”. “I dati evidenziano come il cervello sia in grado di estrarre informazioni associate ai suoni, normalmente udibili in quelle condizioni, un decimo di secondo dopo la presentazione dell’immagine, attivando la corteccia temporale superiore, il giro temporale inferiore e medio e, poco dopo, anche la corteccia uditiva primaria (BA41), allo stesso modo dei suoni percepiti realmente o delle allucinazioni uditive”, ha sottolineato Zani.
L’esperimento è stato condotto su 15 volontari esenti da problemi neurologici e psichiatrici che non avevano assunto né droghe né farmaci. Mediante la tecnica denominata Loreta (Low-resolution electromagnetic tomography) è stato possibile ricostruire con immagini tridimensionali l’ordine con cui si attivano, millisecondo per millisecondo le diverse aree cerebrali di ciascuno soggetto durante il test.
“Il campione è stato addestrato a eseguire un compito secondario rispetto agli stimoli indagati, per esempio premere un tasto alla vista di una gara ciclistica mentre sullo schermo apparivano 300 fotografie colorate per circa un secondo a intervalli di 1.500–1.900 millisecondi”, ha aggiunto la Proverbio. “Benché le immagini fossero simili come luminanza, grandezza, valore affettivo, soggetti raffigurati, solo la metà evocava un suono specifico quale il pianto di un bambino, un martello pneumatico, campane, canto lirico”.
“L’esistenza di fenomeni di integrazione audiovisiva in questa regione del cervello spiega perché la vista del labiale favorisce la comprensione dei suoni linguistici, cosa che non avviene per esempio al telefono. Mentre un labiale incongruente con l’ascolto altera la percezione uditiva”, ha concluso la Proverbio. “Questo è il primo studio nell’uomo che offre dati neurofisiologici diretti sull’esistenza dei neuroni specchio audiovisivi già identificati nella scimmia”.
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