sabato 31 luglio 2010

Piscio e parole « Grafemi

Piscio e parole

Il processo di crescita di ogni bambino passa attraverso l’apprendimento della gestione di ciò che esce dal proprio corpo.

Tipicamente, intorno ai due anni si rende conto che dal suo apparato urinario esce un liquido giallo vaso da notteche bagna mutande, pantaloni – mondo esterno in generale. Una volta constatato questo fenomeno, inizia un processo tutto sommato veloce che lo porta a monitorare la propria vescica, e a valutare la necessità di svuotarla nel modo migliore possibile: quindi non subito, non ovunque, e non in qualsiasi modo. Senza entrare troppo in dettaglio, un processo analogo accade con le feci.

Molto più complesso, invece, è l’apprendimento della gestione delle proprie parole – cioè dei suoni che la bocca emette per esprimere le proprie esigenze, il proprio punto di vista, le proprie richieste. Dei bambini, fa spesso sorridere l’assoluta schiettezza – cioè l’incapacità di valutare le conseguenze delle proprie parole. Tuttavia, non fa sempre sorridere: è nota a tutti una certa predisposizione dei bambini ad un’involontaria crudeltà: succede, ad esempio, che al passaggio di un nano loro gridano, ad alta voce, “guarda che buffo quell’uomo”. Ciò che manca durante l’infanzia è, forse, l’empatia che, secondo i più recenti studi delle scienze cognitivie, è ciò che distingue l’uomo da tutti gli altri esseri viventi. Capire che le parole, così come l’urina e le feci, producono effetti sul mondo circostante è un passo importante e decisivo nel cammino per diventare adulti.

Il problema è che non sempre questo passo viene compiuto. Quando qualcuno esclama, ad alta voce, e con un certo d’orgoglio: “Io dico tutto quello che penso”, non posso non pensare a cosa succederebbe se la stessa incapacità di organizzare i propri output fosse esteso anche al resto: “Io piscio sempre ciò che produco” o, ancora più vividamente: “Sono un tipo onesto: cago tutto ciò che ho dentro”. La retorica della sincerità copre, in realtà, una visione della realtà  incontinente, al limite dell’autismo. Il mondo sono io. O, al passo successivo dell’evoluzione, il mondo è lo specchio di me stesso. Manca il salto verso: vivo in un mondo di persone che pensano come me.

Uno dei temi che le scienze cognitive stanno affrontando recentemente riguarda l’evoluzione delle scimmie in ciò che noi ora chiamiamo “uomo”. Per molto tempo si è pensato che ciò che ha permesso il “salto” sia stato il linguaggio, che ha consentito ai nostri nonni scimmioni di interagire tra loro, e quindi di organizzarsi in modo più efficiente, sopperendo alle evidenti limitazioni fisiche. In realtà, sta prendendo sempre più piede l’idea che il linguaggio sia uno degli esiti dell’evoluzione, e non la causa: un esito paragonabile, per complessità, alla costruzione dei grattacieli.

scimmiaCiò che invece distinguerebbe gli uomini dalle scimmie, e che avrebbe permesso di potenziare le nostre limitate capacità, potrebbe essere non solo il riconoscere negli altri una certa somiglianza con noi stessi, e non solo il comprendere i sentimenti altrui – la base dell’empatia – ma il possedere una capacità unica al mondo, che è il comprendere, e quindi condividere, l’intenzione degli altri. Se una scimmia vede una persona che preme l’interruttore della luce, è possibile che, dopo aver creato il collegamento tra causa ed effetto, si giri a guardare la lampada che si è accesa; ciò che non farebbe mai una scimmia – e che invece gli esseri umani iniziano a fare intorno ai quattro mesi – è girarsi a guardare ciò che una persona sta guardando dopo essersi girata. Noi, in qualche modo, riusciamo non solo a valutare le azioni di chi ci circonda, ma anche ad immaginare i loro pensieri. Lo scambio di parole, o di segni in generale, ha senso solo se è presente questa condizione: in sua assenza, ci troveremmo di fronte ad individui che continuano a considerare solo una delle due direzioni lungo le quali avviene la comunicazione, un mondo di persone impegnate in tragici, ed inutili, monologhi.

Il sospetto che ho quando sento qualcuno dire “Io dico tutto quello che penso” (frase che viene sempre detta con un tono un po’ tronfio e supponente) è che nell’evoluzione individuale di questa persona sia mancato il passaggio indispensabile da scimmia a uomo; che manci, cioè, la capacità di riconoscere, nelle altre persone, delle intenzioni simili alle nostre, e quindi di valutare l’impatto del nostro “prodotto” sul mondo che ci circonda; che sia assente, o limitata, la caratteristica che ha consentito di creare una società organizzata, basata su relazioni sostenibili e strutturate: una società che sia qualcosa di più della mera somma di tanti omunculi autoreferenziali, autistici, ed incontinenti.

Una Risposta

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lunedì 26 luglio 2010

Tempus II on Vimeo

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La liberta' su PAESAGGI DELL'ANIMA

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SOFTWERLAND: Gli errori di Darwin - archiviostorico.info

Gli errori di Darwin Feltrinelli, pagg.272, Euro 25,00 IL LIBRO – In questo libro Massimo Piattelli Palmarini, biofisico e scienziato cognitivo, e Jerry Fodor, filosofo del linguaggio e cognitivista, sostengono che il principio darwiniano di selezione naturale e di progressivo adattamento all’ambiente non è verificabile. Anzi, con grande probabilità, è sbagliato. Lo dimostrano i dati più recenti della ricerca genetica, embriologica e biomolecolare. E lo dimostra l’esame stringente della logica interna della teoria darwiniana. Sulla scia di Stephen J. Gould e Richard Lewontin, i primi evoluzionisti a mettere in seria discussione il principio di selezione naturale, Piattelli e Fodor processano Darwin e i suoi seguaci più ortodossi. Oggi, sostengono, possiamo affermare con certezza che i viventi evolvono. Quali siano però i meccanismi che innescano il cambiamento è questione controversa e non ancora del tutto chiara. Atei, materialisti, non sospetti di derive creazioniste, i due autori credono che non esistano nella scienza discussioni “inopportune”. Al contrario, proprio nel nome della scienza occorre discutere con chiarezza e onestà i presupposti, i riscontri e le aporie di tutte le teorie scientifiche. Darwin e il darwinismo sono stati a lungo ritenuti fondamentali per comprendere la natura del vivente, ma non sono un feticcio che non possa essere messo sotto osservazione critica. DAL TESTO – “qualche tipo di interazioni fra gli organismi e i loro ambienti è causalmente coinvolto nella fissazione evolutiva di qualche tratto fenotipico; se così non fosse, sarebbe davvero miracolosa l'esistenza di corrispondenze affidabili fra i due. Ma non c'è alcuna ragione ovvia di dubitare che queste interazioni siano strutturate simultaneamente a molti livelli di analisi; ed è perfettamente possibile che il racconto dell'eziologia delle corrispondenze organismo/ambiente possa essere diverso da un tipo di tratto fenotipico all'altro. Se così è, allora la risposta giusta a "qual è il meccanismo della fissazione dei fenotipi?" sarebbe: "Beh, in realtà ce ne sono molti". Lo ripetiamo: con questo non vogliamo affatto dire che la fissazione dei fenotipi sia qualcosa di diverso da un processo completamente deterministico, causale e sottoposto a leggi. Non c'è bisogno di una Fata Turchina. Quello che neghiamo, però, è che esista una teoria unitaria (per esempio una teoria unitaria delle interazioni organismo-ambiente) nei cui termini si spiegano questi fenomeni, tutti o la maggior parte di essi; o che i vari tipi di resoconti che li spiegano in generale comportino l'esistenza di leggi di selezione esogena.” GLI AUTORI – Jerry Fodor (New York, 1935) è professore di Filosofia del linguaggio e scienza cognitiva alla Rutgers University. È l’esponente di maggior spicco del cosiddetto “funzionalismo”. Fodor sostiene la tesi della modularità della mente e del linguaggio, secondo la quale il modulo del linguaggio sarebbe innato e l’apprendimento non sarebbe altro che “conferma di ipotesi”. Tra i suoi libri tradotti in italiano: La mente modulare. Saggio di psicologia delle facoltà (il Mulino 1999) e Mente e linguaggio (Laterza 2003). Massimo Piattelli Palmarini (Roma, 1942), è professore di scienza cognitiva alla University of Arizona. È stato fondatore del dipartimento di Scienze cognitive dell’Istituto San Raffaele di Milano e docente alla Ecole des hautes études in sciences sociales di Parigi. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, è anche divulgatore e saggista: La voglia di studiare (1991), Scienza come cultura (1999), L’illusione di sapere (1993), Ritrattino di Kant a uso di mio figlio (1994), L’arte di persuadere (1995) e I linguaggi della

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Gli errori di Darwin - archiviostorico.infoGli errori di Darwin

Feltrinelli, pagg.272, Euro 25,00



IL LIBRO – In questo libro Massimo Piattelli Palmarini, biofisico e scienziato cognitivo, e Jerry Fodor, filosofo del linguaggio e cognitivista, sostengono che il principio darwiniano di selezione naturale e di progressivo adattamento all’ambiente non è verificabile. Anzi, con grande probabilità, è sbagliato. Lo dimostrano i dati più recenti della ricerca genetica, embriologica e biomolecolare. E lo dimostra l’esame stringente della logica interna della teoria darwiniana. Sulla scia di Stephen J. Gould e Richard Lewontin, i primi evoluzionisti a mettere in seria discussione il principio di selezione naturale, Piattelli e Fodor processano Darwin e i suoi seguaci più ortodossi. Oggi, sostengono, possiamo affermare con certezza che i viventi evolvono. Quali siano però i meccanismi che innescano il cambiamento è questione controversa e non ancora del tutto chiara.

Atei, materialisti, non sospetti di derive creazioniste, i due autori credono che non esistano nella scienza discussioni “inopportune”. Al contrario, proprio nel nome della scienza occorre discutere con chiarezza e onestà i presupposti, i riscontri e le aporie di tutte le teorie scientifiche. Darwin e il darwinismo sono stati a lungo ritenuti fondamentali per comprendere la natura del vivente, ma non sono un feticcio che non possa essere messo sotto osservazione critica.

DAL TESTO – “qualche tipo di interazioni fra gli organismi e i loro ambienti è causalmente coinvolto nella fissazione evolutiva di qualche tratto fenotipico; se così non fosse, sarebbe davvero miracolosa l'esistenza di corrispondenze affidabili fra i due. Ma non c'è alcuna ragione ovvia di dubitare che queste interazioni siano strutturate simultaneamente a molti livelli di analisi; ed è perfettamente possibile che il racconto dell'eziologia delle corrispondenze organismo/ambiente possa essere diverso da un tipo di tratto fenotipico all'altro. Se così è, allora la risposta giusta a "qual è il meccanismo della fissazione dei fenotipi?" sarebbe: "Beh, in realtà ce ne sono molti". Lo ripetiamo: con questo non vogliamo affatto dire che la fissazione dei fenotipi sia qualcosa di diverso da un processo completamente deterministico, causale e sottoposto a leggi. Non c'è bisogno di una Fata Turchina. Quello che neghiamo, però, è che esista una teoria unitaria (per esempio una teoria unitaria delle interazioni organismo-ambiente) nei cui termini si spiegano questi fenomeni, tutti o la maggior parte di essi; o che i vari tipi di resoconti che li spiegano in generale comportino l'esistenza di leggi di selezione esogena.”

GLI AUTORI – Jerry Fodor (New York, 1935) è professore di Filosofia del linguaggio e scienza cognitiva alla Rutgers University. È l’esponente di maggior spicco del cosiddetto “funzionalismo”. Fodor sostiene la tesi della modularità della mente e del linguaggio, secondo la quale il modulo del linguaggio sarebbe innato e l’apprendimento non sarebbe altro che “conferma di ipotesi”. Tra i suoi libri tradotti in italiano: La mente modulare. Saggio di psicologia delle facoltà (il Mulino 1999) e Mente e linguaggio (Laterza 2003).

Massimo Piattelli Palmarini (Roma, 1942), è professore di scienza cognitiva alla University of Arizona. È stato fondatore del dipartimento di Scienze cognitive dell’Istituto San Raffaele di Milano e docente alla Ecole des hautes études in sciences sociales di Parigi. Autore di numerose pubblicazioni scientifiche, è anche divulgatore e saggista: La voglia di studiare (1991), Scienza come cultura (1999), L’illusione di sapere (1993), Ritrattino di Kant a uso di mio figlio (1994), L’arte di persuadere (1995) e I linguaggi della

domenica 25 luglio 2010

Progetto RobotCub

All’Istituto italiano di tecnologie (IIT) di Genova sta nascendo un “cucciolo” di robot («RobotCub») con le proporzioni di un bimbo di due anni e mezzo. Il progetto, finanziato dall’Unione europea per 8,5 milioni di euro, è iniziato a settembre 2004 e durerà cinque anni. Al momento vi partecipano 16 gruppi di ricerca (11 europei, 3 giapponesi e 2 statunitensi) coordinati dal professor Giulio Sandini dell’Università di Genova. Tra i partner italiani vi sono il LIRA-Lab del capoluogo ligure e l’ARTS-Lab della Scuola superiore Sant’Anna a Pisa, due tra i centri più avanzati a livello mondiale nel campo della robotica umanoide e della biomeccatronica, l’Università di Ferrara, con le competenze di neuroscienze, e Telerobot s.r.l., unico partner industriale del consorzio.

«L’intelligenza e i processi mentali dell’uomo sono profondamente connessi alla struttura fisica del corpo e alla sua interazione con l’ambiente», spiega Giulio Sandini. «Le nostre capacità cognitive si sviluppano attraverso l’interazione con gli oggetti del mondo circostante e con gli altri uomini. Da ciò deriva che i robot umanoidi, oltre a rappresentare un formidabile obiettivo tecnologico, possono essere utilizzati come modelli sperimentali per lo studio delle funzioni cognitive superiori». La realizzazione di un robot bambino, in particolare, consente di concentrare gli studi sui primi anni di vita dell’uomo, periodo durante il quale le capacità di apprendimento (attraverso la manipolazione, l’imitazione e la comunicazione gestuale) svolgono una funzione critica per lo sviluppo delle abilità mentali.

robotcub sedutoL’obiettivo scientifico del progetto RobotCub è studiare questo sistema di apprendimento iniziale, mentre l’obiettivo ingegneristico-tecnologico è costruire una piattaforma condivisa open source per gruppi di ricerca di tutto il mondo impegnati nello studio delle capacità cognitive dei sistemi artificiali. Il fine, in altre parole, è creare un robot-cucciolo denominato «iCub» (dove Cub sta per Cognitive universal body) che può essere sviluppato e migliorato da studiosi di tutte le discipline interessate, dalla psicologia alle neuroscienze, alla robotica. La creazione di una base di lavoro comune e accessibile a tutti permetterà di farvi ricorso in tempi rapidi e in modo semplice, condividere i risultati in tempo reale e beneficiare concretamente dello sforzo collettivo.

In pratica il piccolo androide iCub avrà le sembianze di un bimbo di due anni e mezzo, sarà alto circa 94 cm e peserà più o meno 23 kg. Avrà 53 gradi di libertà, incluse mani articolate, che potrà usare per manipolare gli oggetti e gesticolare. Il “cuccioletto” sarà in grado di gattonare su tutti e quattro gli arti e sedersi, passando in modo autonomo da una fase all’altra. Sarà equipaggiato con telecamere per la visione, dita delle mani con falangi articolate, polpastrelli con sensori tattili e di tensione, microfoni. Anche testa e occhi saranno completamente articolati. ICub non sarà un robot programmato, ma saprà acquisire conoscenza attraverso l’esperienza.

robotcub copertura testaA settembre 2007 sarà completato il primo prototipo sperimentale; in contemporanea verrà lanciato un bando per i gruppi di ricerca che desiderano utilizzare iCub come piattaforma comune per i loro studi; entro il 2009, infine, saranno costruiti altri otto iCub, che daranno il via ad altrettanti progetti scientifici aggiuntivi. Il costo stimato per le attività di “disseminazione” è di circa 2 milioni di euro: un investimento consistente, dettato anzitutto dalla convinzione che la collaborazione internazionale (sia attraverso programmi di studio già avviati sia mediante la partecipazione diretta a RobotCub e alla sua piattaforma comune) sia un requisito ormai irrinunciabile per il progresso delle scienze cognitive.

SUGGERIMENTI

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browsernik - La Tortura Apache

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