Così si estinguerà l'homo sapiens
La specie umana gode di una ineguagliata capacità di adattamento all'ambiente ed esercita su di esso un controllo pressoché totale. Su questo non ci sono dubbi. Ma fino a che punto ciò rappresenta un vantaggio? E, visto da una prospettiva evoluzionista, l'homo sapiens è davvero una specie privilegiata? O non è invece un caso di «anomalia ecologica» senza precedenti, che sta già peraltro compiendo passi affrettati verso la sua estinzione?
Le risposte che Antonino Pennisi e Alessandra Falzone offrono a queste domande sono sorprendenti e controintuitive. Il prezzo del linguaggio. Evoluzione ed estinzione nelle scienze cognitive affronta la questione in maniera critica, proponendo un ripensamento epistemologico delle scienze cognitive, stabilendo strette correlazioni con il neodarwinismo e il neoaristotelismo. Pennisi e Falzone smontano gli argomenti antropocentrici che da sempre accompagnano il pensiero sull'uomo, restituendoci così una grande lezione di umiltà e rileggendo la storia dell'evoluzione biologica e culturale di homo sapiens in chiave strettamente naturalistica. Ed è proprio la parola, il logos, la chiave di volta di tutta l'argomentazione. Benché il '900 sia stato denominato da Richard Rorty il secolo della «svolta linguistica», pochi (tra cui Chomsky) hanno saputo intuire la vera grandiosità insita nel linguaggio. È per lo più prevalso il pregiudizio che esso fosse un mero strumento di trasmissione di contenuti cognitivi preesistenti, una componente modulare del cervello. È prevalsa l'idea platonica della mistica circolarità immateriale del segno linguistico, quella che Popper definì il «dogma positivistico del significato». Il linguaggio è molto più. Lungi dall'essere un semplice veicolo di informazioni, esso esercita funzioni cognitive fondamentali. È attraverso di esso che ci formiamo le nostre idee sul mondo.
Il linguaggio è, in altre parole, la specie-specificità dell'uomo e, secondo gli autori, nasce casualmente da un fenomeno evolutivo di exaptation (la cooptazione funzionale di Stephen Jay Gould), ovvero dalla creazione di funzioni nuove in strutture evolutivamente obsolete. In questo caso la condizione fisiologica di abbassamento della laringe – che in altre specie animali, come nel maschio del cervo di Ficht, serve a produrre suoni gravi per sedurre la compagna – ha creato le condizioni ottimali per l'articolazione linguistica. La ricostruzione dell'evoluzione delle abilità cognitivo-linguistiche a questo punto non è separata da una critica al modello cognitivo più diffuso, che propone di studiare il cervello e le sue varie funzioni come fossero scorporati dall'organismo e dalla sua storia biologica ed evolutiva.
Al contrario, la nascita del linguaggio ha costituito un passaggio di non ritorno, perché esso ha influenzato tutte le abilità cognitive dell'essere umano, è diventato esso stesso abilità cognitiva per eccellenza, caratterizzando in questo modo sia la capacità rappresentazionale del mondo da parte dei soggetti, sia la capacità di trasmettere a livello collettivo le visioni del mondo. All'area di Broca, cui un tempo si attribuivano funzioni relative alla mera sintassi verbale, deve essere riconosciuto un ruolo principe nel funzionamento di un network cognitivo complesso atto a generare conoscenze coinvolgendo varie strutture (BA 47, BC 6, corteccia temporale sinistra e corteccia prefrontale dorsolaterale).
Insomma, non c'è soluzione di continuità tra evoluzione, biologia, tecnologia, cultura. Non c'è dualismo che regga - questa la tesi dei due autori, - non c'è separazione tra natura e cultura. L'evoluzione ha creato i presupposti biologici per la nascita del linguaggio: esso è diventato linguaggio tecnologico e ha generato l'evoluzione culturale del genere umano. La presenza del linguaggio spiegherebbe un'iperadattività così straordinaria, capace di annullare con la tecnologia tutti gli ostacoli alla propria diffusione sul pianeta e minimizzare le condizioni che ne impediscono la procreazione.
L'evoluzione, normalmente, dovrebbe produrre speciazione. Ogni specie si differenzia, si evolve, appunto, in una specie diversa al mutare dell'ambiente. Dovrebbe essere questa la legge. Invece homo sapiens, a causa della tecnologia – e quindi del linguaggio – è stato capace di adattarsi e di diffondersi su tutta la terra senza mai sentire la necessità di differenziarsi. Questo processo ha impedito ogni possibile fenomeno evolutivo. Per questo il caso del sapiens è un'anomalia ecologica, quell'anomalia che Konrad Lorenz definisce «circuito a retroazione positiva» e che si palesa in eventi evolutivi caratterizzati da un rapidissimo incremento e da un altrettanto rapido esaurimento.
Homo sapiens, in effetti, ha una storia evolutiva tanto breve (200mila anni) quanto intensa. L'intensità dei suoi processi adattativi – che negli ultimi 10mila anni lo ha visto passare dalla lavorazione della pietra al computer – rappresenta però, sostengono gli autori, l'altra faccia della sua corsa velocissima verso l'estinzione. Esistono altre specie di primati che per milioni di anni non hanno prodotto alcuna modifica sensazionale né alcuna speciazione e la cui vita evolutivamente è più lunga della nostra. Invece con il sapiens l'evoluzione si fermerà per sempre. Siamo l'ultimo anello di una catena piccolissima. Per usare la metafora di Darwin, la nostra storia evolutiva somiglia al braccio di un corallo, grosso e corto che, malgrado la sua possanza, non genererà altro da sé.
Questa è la ferma convinzione di Pennisi e Falzone. Se l'ipotesi vi spaventa avete due alternative. O leggete il libro come una meravigliosa fantasticheria alla Borges. Oppure cominciate a preoccuparvi un po' di più, senza necessariamente essere apocalittici, degli effetti che l'attività umana produce sul pianeta, e a pensare che sia necessario correre ai ripari politicamente e tecnologicamente.
Tuttavia – avvertono inesorabili Pennisi e Falzone, in una prospettiva strettamente naturalistica – l'estinzione ci sarà. È prevista e immodificabile. Essa è insita nella storia naturale del genere umano, all'interno della quale è contenuta la sua storia culturale, e della quale il linguaggio è il perno fondamentale. Bisogna ammettere, con umiltà, che la storia naturale non doveva necessariamente portare alla nostra presenza, e che essa si rivela piuttosto – come scrive Telmo Pievani nell'introduzione – «un fugace intervallo di consapevolezza, linguisticamente mediata, tra un prima e un poi, sterminatamente lunghi, trascorsi senza parole».
[fonte ilsole24ore]
Pubblicato da REPORTER LIVE ITALIA alle 16:54:00
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