Post n°228 pubblicato il 05 Luglio 2011 da BROWSERIKTag: scienze cognitiveMentire è un’ arte ed è più difficile di quello che non si creda. Generalmente le persone sono convinte del contrario e pensano che sgamare una bugia ben architettata non sia semplice neanche con le più avanzate macchine della verità. Ma la tecnologia qui non c’entra: basta rovesciare il punto di vista.
Chi vuole scoprire se qualcuno sta mentendo deve smetterla di osservare il muscolo del sopracciglio per scorgere un minuscolo movimento rivelatore, e passare invece al contrattacco ponendo all’interlocutore semplici, diaboliche domande. Il vademecum del perfetto inquisitore è riassunto su New Scientist, in un articolo che fa il punto sui più recenti studi di psicologia sull’argomento menzogna.
Il succo è questo: “ È impossibile rendere più nervoso chi mente, ma è semplice porre quelle domande a cui è più difficile rispondere se si sta mentendo”, dice Aldert Vrij, psicologo dell’ università di Portsmouth che da tempo sta cercando di capire perché, di solito, le persone sono facili da ingannare.
Un modo? Chiedere al sospettato di raccontare la medesima storia sospetta al contrario. Questo è un compito decisamente più difficile se ci si è inventati un avvenimento che non se bisogna semplicemente ricordarlo. Ed eccone un altro: chiedere all’imputato di disegnare la scena: chi mente non pensa ai dettagli spaziali, di solito. Un’altra strategia è indagare sui dettagli temporali e chiedere più volte l’ esatta cronologia, magari creando appositamente qualche tranello.
Nel caso si tratti di capire cosa pensa realmente una persona, invece, la si può costringere a difendere la propria idea e poi chiederle di fingere di prendere la posizione opposta. Il motivo si questo gioco di ruolo è che, di solito, si difende meglio l’idea di cui si è realmente convinti. C’è poi un altro mito da sfatare, quello secondo cui i bugiardi guardano fisso negli occhi dei loro interlocutori. Chiedete loro di farlo esplicitamente e si tradiranno, fornendo più indizi verbali e non verbali. Questo accadrebbe perché mentire e concentrarsi su un punto fisso sono due lavori piuttosto faticosi per il cervello.
Più elaborata la tecnica Sue, acronimo di Strategic use of evidence, che consiste nel non rivelare subito tutto quello che si sa circa un fatto al sospetto bugiardo. Scoprire le proprie carte solo in un secondo momento fa sentire il bugiardo in difetto, e lo porta poi a rivelare più di quanto non vorrebbe. È così, più o meno, che la polizia svedese ha incastrato l’assassino di una donna, Nancy Tavsan, nel 2009. In effetti, si è visto che chi la mette in pratica la Sue scopre l’85% di bugie in più di chi non se ne serve.
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