venerdì 18 marzo 2011

CIBERNIX - Frustrazione ciibernetica

150 Anni di ricerca italiana

Post n°150 pubblicato il 18 Marzo 2011 da BROWSERIK

gdf                                                                              L’Italia compie 150 anni , e al confronto di nazioni più vecchie come la Francia è una giovane ereditiera che si affaccia sul più schizofrenico dei secoli forte di un patrimonio culturale e scientifico dal valore inestimabile. La nostra penisola può vantare università di primo livello, che ogni anno formano centinaia di giovani scienziati capaci di distinguersi a livello mondiale. È l’eredità di una lunga tradizione che fino ad oggi ci ha permesso di confrontarci a testa alta con colossi economici come Stati Uniti e Giappone.

Tuttavia questo patrimonio rischia di essere sperperato in poco tempo, se i tagli alla ricerca continuano ad aumentare come negli ultimi anni. Sempre più neolaureati sono spinti a trasferirsi oltralpe da prospettive (e stipendi) allettanti che qui non potrebbero mai avere. Ne abbiamo discusso con Guido Tonelli, docente all’ università di Pisa e ricercatore dell’ Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn). Ma anche uno dei quattro coordinatori, tutti italiani, degli esperimenti all’acceleratore di particelle più potente del mondo, il Large Hadron Collider (Lhc) di Ginevra. E in particolare del Compact Muon Solenoid (Cms), che dà la caccia alla sfuggente particella chiamata bosone di Higgs.

Guido Tonelli, l’Italia ha 150 anni, e non se la passa troppo bene. Com’è sta invece la ricerca italiana?

"Per quanto riguarda la ricerca sulla fisica delle particelle, lo stato di salute dal punto di vista dei risultati è eccellente. Questo campo, in Italia, può vantare una tradizione e un’organizzazione che consentono di ottenere risultati di rilievo. Il problema sono le prospettive future, verso cui nutro fortissime preoccupazioni. Dall’Italia infatti arrivano pessimi segnali".

A cosa è dovuta questa condizione di eccellenza e in che misura è in pericolo?

"Primo: abbiamo in Italia delle ottime facoltà scientifiche, una decina di università che sono tra le migliori del mondo e che forniscono una formazione di eccellenza a centinaia di giovani fisici. Secondo: chi vuol fare ricerca in fisica delle particelle, trova nell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) un’organizzazione moderna ed estremamente efficiente. Entrambe queste cose sono oggi a rischio. L’università soffre di una carenza di risorse sempre più grave e trasversale, ma soprattutto, ed e’ ancora più grave, si sono ridotti gli spazi per assumere giovani sia nell’università che negli enti di ricerca".

Lei è uno dei quattro coordinatori degli esperimenti dell’Lhc di Ginevra: Quattro coordinatori, quattro italiani. Quanto è indicativo della situazione italiana questo dato?

"Le ricerche che si svolgono a Lhc sono considerate la punta di diamante della fisica fondamentale. Il mondo intero ha concentrato qui le sue migliori risorse scientifiche e, per tutti e quattro gli esperimenti di Lhc, scienziati da ogni angolo del pianeta hanno scelto coordinatori italiani. È una situazione straordinaria. Se qualcosa di importante verrà scoperto a Ginevra nei prossimi anni, ci sarà comunque una grande ricaduta in termini di immagine su tutta l’Italia. Qualunque altro paese, che potesse vantare questa situazione, sarebbe in televisione a batter la gran cassa ogni cinque minuti. In Italia invece il nostro lavoro è raccontato solo episodicamente e spesso concentrando l’attenzione su paure irrazionali che con la scienza hanno ben poco a che vedere".

Come il timore di apocalittici buchi neri?

"È proprio l’esempio giusto".

Naturalmente gli italiani non si trovano solo ai vertici, so che tra le fila dei quattro esperimenti ci sono molti ricercatori italiani, molti di loro sono giovani, e molti sono precari, conferma?

"Qui a Ginevra lavorano centinaia di giovani fisici, ingegneri ed informatici italiani. Se lei andasse ora nella sala di controllo di Lhc, troverebbe a dirigere le operazioni dell’acceleratore un ingegnere italiano di 38 anni, ma i casi del genere sono decine. È italiano anche il numero due del Cern, Sergio Bertolucci, attuale direttore della ricerca. Solo nel Cms lavorano circa 300 scienziati italiani, la metà con meno di trentacinque anni di età. La stragrande maggioranza dei giovani che lavorano qui sono precari, esattamente come i giovani che hanno protestato nei mesi scorsi in Italia, e hanno gli stessi problemi nonostante alcuni di loro siano tra i migliori giovani scienziati del mondo". I giovani italiani sono i ricercatori migliori, dunque? "Non lo dico perché sono italiano, lo dico perché mi trovo a valutarli quotidianamente e me lo dicono anche i colleghi di molti altri paesi: i nostri ragazzi e le nostre ragazze (quasi la metà ormai delle nuove leve) sono spesso la crema di questi esperimenti. Non a caso, non hanno nessuna difficoltà a essere assunti da altre università nel mondo: lo vedo anche dalle offerte che ricevono da prestigiose università americane, francesi o tedesche. È un vero peccato, perché molti di loro sarebbero felicissimi di lavorare in Italia".

Come si concilia questa realtà con il contraltare italiano, dove si annuncia una riforma volta a ripulire un’Università popolata da baroni e scansafatiche?

"Il fatto che a questo ruolo così importante nella fisica delle energie corrispondano questi segni di declino, è un po’ paradossale. Io non so in quante altre aree di ricerca capiti (come succede a me ed alla mia amica, Fabiola Gianotti, coordinatrice di Atlas) che un ricercatore italiano coordini il lavoro di 7-800 scienziati americani. In altri campi scientifici capita spesso l’opposto .

 "Nel 2010 la macchina e gli esperimenti hanno funzionato molto bene. In pochi mesi abbiamo completato il programma di calibrare i rivelatori riscoprendo e misurando con precisione molte proprietà delle particelle attualmente conosciute. Nessuno può pensare di essere pronto a scoprire cose nuove, se prima non è in grado di osservare e misurare tutto quanto è già ben conosciuto.

Sembra di ascoltare qualcuno che è sul punto di conoscere un nuovo mondo, che effetto fa? "È esattamente la sensazione che stiamo vivendo. C’è un clima pazzesco, l’entusiasmo è alle stelle, si respira il clima delle grandi occasioni. Speriamo davvero che queste nostre aspettative trovino qualche riscontro. Lo sapremo presto".

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Attività cerebrale durante il risveglio

Post n°149 pubblicato il 18 Marzo 2011 da BROWSERIK

Forse non lo sapete ma ogni mattina, dal momento in cui iniziate ad aprire gli occhi e cercate a tastoni di spegnere la sveglia, a quando acquisite la piena lucidità siete in una fase definita inerzia del sonno.

In pratica, ogni volta che ci svegliamo il cervello ha bisogno di un po' di tempo per mettersi in moto e, come nella sua fase speculare, cioè l'addormentamento non si tratta di un processo lineare. Alcune parti del cervello si riavviano prima delle altre e gli studi sul sonno ci permettono di conoscere i dettagli di questo processo. Sull'argomento questo mese è uscito sulla rivista Neuroscience uno studio condotto presso il Laboratorio di psicofisiologia del sonno, dipartimento di psicologia dell’università Sapienza di Roma. 18 volontari adulti, 6 femmine e 12 maschi sono stati monitorati con un elettroencefalogramma (Eeg) per due notti consecutive nelle fasi dell’addormentamento e del risveglio. Wired.it ha chiesto a Luigi de Gennaro, tra gli autori dello studio, di commentare la ricerca e i suoi risultati.

Cosa ci dice la ricerca pubblicata su Neuroscience?

"Abbiamo chiarito cosa accade nel cervello sia durante il risveglio sia durante l’addormentamento. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il nostro cervello non si addormenta e si risveglia contemporaneamente in ogni sua parte. In particolare c’è asincronia tra le aree frontali e prefrontali e quelle posteriori: le prime si addormentano e si destano più velocemente rispetto alle seconde. Si deve quindi alla lentezza relativa delle aree posteriori a risvegliarsi tutta la serie di deficit di reattività e attenzione che sperimentiamo nei primi minuti successivi al risveglio. Gli Eeg infatti indicano che al risveglio le onde delta, cioè quelle tipiche del sonno non Rem, interessano maggiormente le aree corticali posteriori rispetto a quelle anteriori, cioè nei primi minuti di veglia una parte del nostro cervello ha un’attività elettrofisiologica analoga a quella che si sperimenta nel sonno".

Per quale motivo si studia l'inerzia del sonno?

"L'addormentamento e il risveglio sono due processi complementari e meccanismi neurali sono ben lontani dall'essere stati identificati. Come sappiamo il cervello non si comporta omogeneamente e questa vale nel sonno tanto quanto nella veglia. Questi studi ci permettono di vedere come le varie aree cerebrali si comportano".

Come possiamo applicare queste nuove conoscenze?

"Ricerca di base a parte, in alcuni contesti diventa rilevante raggiungere al risveglio la piena efficienza prestazionale nel più breve tempo possibile. Mi riferisco, per esempio, al personale di pronto soccorso, ai vigili del fuoco, forze dell’ordine e in generale a tutte quelle situazioni in cui l’errore umano ha gravi ricadute in termini sociali. Un esempio di drammatica attualità è quello che accadde alla centrale nucleare di Chernobyl.

Ci sono studi che hanno dimostrato come la serie di errori che portarono al disastro nucleare del 1987 furono strettamente correlati a inadeguati ritmi di sonno-veglia che influirono negativamente sull’efficienza prestazionale degli operatori. Comprendere i meccanismi delle transizioni tra il sonno e la veglia (e viceversa) assume quindi un'importanza particolare nell'ottica di sviluppare adeguate dello sviluppo di adeguate contromisure".

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Chi ha inventato il cyberspazio? - Wired.it

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Chi ha inventato il cyberspazio? Oggi compie 63 anni William Gibson, creatore del termine “cyberspace”. Le visioni dei suoi libri sono diventate realtà e hanno ispirato Matrix 17 marzo 2011 di Caterina Visco " Cyberspazio. Una consensuale allucinazione vissuta ogni giorno da miliardi di operatori legittimi, in ogni nazione" Può un uomo essere famoso per una sola parola? Se è quella giusta, sì. È il caso di William Gibson, nato il 17 marzo 1948 e ideatore del termine “ cyberspace”. A dire il vero Gibson è anche un grande romanziere di fantascienza – autore di veri e propri libri di culto - e quindi il suo contributo non si esaurisce con quella fortunata definizione. Ma niente quanto quelle dieci lettere ha altrettanto cambiato la società, o per lo meno ne hanno anticipato il cambiamento, permettendo di studiarlo e comprenderlo. Costellata di disgrazie – la perdita del padre a 6 anni e quella della madre a 18 – di cui lui stesso riconosce il valore ispiratore per un artista, la vita di William è stata tutt’altro che tranquilla. Contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, il giovane Gibson non era un nerd, appassionato di computer e di matematica. Il suo rifugio erano invece i libri di fantascienza: niente religione, un’ossessione temporanea per il basket, una per gli autori della beat generation, e un’espulsione dal collegio dell’Arizona per aver fumato marijuana. Che i numeri non fossero la sua passione sembra testimoniato anche dall’incredibile punteggio ottenuto ai Sat reasoning test per l’accesso all’università: 5/150 in matematica e 148/150 in lettere. Dopo la morte della madre, Gibson lascia la scuola, e nel 1967 si trasferisce in Canada (prima a Toronto e poi a Vancouver) per sfuggire alla cartolina di richiamo per la guerra del Vietnam. A Vancouver incontra Deborah Jean Thompson, la sposa, e con lei parte per un viaggio alla scoperta dell’Europa e di tutte le sostanze stupefacenti disponibili all’epoca, tour finanziato grazie all’affitto di una piccola proprietà ereditata dai genitori. Tornato a Vancouver (dove vive ancora oggi, godendo della doppia cittadinanza) nel 1972, nel giro di pochi anni diventa padre e si laurea in lingua inglese alla University of British Columbia. Sono gli anni in cui entra definitivamente in contatto con il movimento, la corrente, la tendenza (lo stesso Gibson non ha mai saputo o voluto definirlo) del cyberpunk, i cui esponenti principali erano Bruce Sterling, John Shirley, Lewis Shiner e Rudy Rucker. Debutta in questo mondo nel 1977 con il racconto Fragments of Hologram Rose, che avrebbe poi fatto parte della raccolta Burning Chrome ( La notte che bruciammo Chrome) del 1982. Di questa stessa raccolta fa parte l’omonimo racconto, dove per la prima volta fa la sua comparsa la parola cyberspace. Senza una particolare spiegazione di cosa l'autore intendesse. Lo stesso Gibson qualche anno più tardi ha definito il termine: “ evocativo e essenzialmente senza senso”. Pagina successiva

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USA controlla le nostre opinioni

Post n°148 pubblicato il 18 Marzo 2011 da BROWSERIK

Usa pronti a controllare l’opinione pubblica online Notizia shock: gli Stati Uniti starebbero lavorando a un sistema in grado di modificare l’opinione pubblica sfruttando i social network. Dici che è impossibile, che è esagerato? Eppure è assodato che la Centcom statunitense ha stipulato un accordo con Ntrepid, una società californiana, per lo sviluppo di un “online persona management service”. Vale a dire un sistema in grado di creare e assegnare il controllo di dieci account a una sola persona reale. Basta un centinaio di addetti e, in pratica, è possibile diffondere notizie e “opinioni” da parte di 1000 profili diversi. Falsi. Tranquillo, comunque, al momento la richiesta è avanzata per 50 operatori, per un totale di 500 profili. Sul “tranquillo” ero ironico.

La notizia è riportata dal Guardian, che parla di un vero e proprio servizio di creazione di account dal background credibile, e dunque in grado di esprimere valutazioni e opinioni e contribuire a campagne di vario tipo. Non è dato sapere quali, ma con un pizzico di fantasia si possono ipotizzare campagne pro reclutamento militare, oppure politiche, oppure per promuovere certe strategie economiche. Le possibilità sono infinite, anche perché la tecnologia commissionata non pone limiti ai social network sfruttabili, citando esplicitamente “personas must be able to appear to originate in nearly any part of the world and can interact through conventional online services and social media platforms”. In pratica, i profili fasulli devono sembrare creati da qualsiasi zona del mondo e attraverso qualunque tipo di piattaforma online. Non giriamoci intorno: un vero e proprio reclutamento di account falsi che diffondano notizie e opinioni, e ne controbattano altre, in modo credibile.

Questa "simpatica" iniziativa rientra nella Operation Earnest Voice (OEV), nata, guarda un po’, durante la guerra in Iraq, per contrastare la massiccia presenza online degli emissari di al-Qaida. In pratica, gli Stati Uniti puntano le armi di social engineering anche al di fuori del territorio arabo. E ciò che più preoccupa, come giustamente sostiene il Guardian, è che questo comportamento potrebbe essere preso come esempio anche da altre nazioni. Nel frattempo chi si sfrega le mani è Ntrepid, forte di un obolo di 2,76 milioni di dollari per eseguire i lavori. A noi, invece, il compito di distinguere tra le opinioni genuine dei nostri contatti e le panzane studiate a tavolino da esperti militari.

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giovedì 17 marzo 2011

PI: Assange: Internet è il male

Assange: Internet è il male Dichiarazioni a sorpresa del founder di Wikileaks: la Rete rappresenterebbe una tecnologia ostile ai diritti umani e alla libertà d'espressione. Internet usata dai governi come una gigantesca macchina di sorveglianza Roma - "Internet non è una tecnologia che favorisce la libertà d'espressione. Non è una tecnologia che tutela i diritti umani. Piuttosto è una tecnologia che può essere sfruttata per mettere in piedi un regime totalitario basato sulla sorveglianza. Che non si era mai visto prima". Parola di Julian Paul Assange, l'ormai arcinoto founder del sito delle soffiate Wikileaks. Dichiarazioni che hanno fatto rapidamente il giro del Web, in seguito ad una delle sue - ultimamente rare - apparizioni pubbliche alla britannica Cambridge University. Assange è stato decisamente cristallino: Internet rappresenterebbe un ostacolo alla libertà. "Internet ci offre in qualche modo la possibilità di essere informati a livelli senza precedenti, in particolare sulle attività dei vari governi - ha continuato Assange - ma è anche la più grande macchina di spionaggio che il mondo abbia mai visto". Uno strumento usato dai governi del pianeta per controllare. Il founder di Wikileaks ha portato degli esempi, primo fra tutti quello relativo ad un gruppo di dissidenti che avevano dato avvio ad una rivolta in Egitto. Vicenda risalente ad alcuni anni fa, scatenatasi grazie ad un social network come Facebook. Secondo Assange, lo stesso sito in blu era stato sfruttato dalla polizia locale per identificare, arrestare, torturare. E Wikileaks? Non è forse parte del vasto ecosistema di Internet? Assange ha sottolineato come il suo sito abbia avuto un ruolo cruciale nel dare inizio alla rivolta popolare in Medio Oriente. Il sito delle soffiate agirebbe nel lato buono della Rete, offrendo ai netizen nuove possibilità di conoscenza e informazione. Il founder - attualmente in appello per contestare la sentenza d'estradizione in terra svedese - è poi intervenuto nel corso di un programma del broadcaster australiano ABC. Chiedendo al primo ministro aussie Julia Gillard di rispondere alle voci circa un suo viaggio negli Stati Uniti per la consegna di informazioni personali relative a diversi cittadini legati a Wikileaks. Assange ha dunque sottolineato come si possa ora ipotizzare un alto tradimento da parte delle autorità aussie, non affatto attente agli interessi del proprio paese. Il primo ministro Gillard ha però rigettato ogni accusa, sostenendo di non essere a conoscenza di alcun passaggio di informazioni verso gli Stati Uniti. Mauro Vecchio

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Impossible Gravity Illusion!

tutto è illusione!!!

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Spend It Wisely on Vimeo

Due frutti fratelli scendono in città per comprare un regalo per il compleanno della loro sorellina, quando succede l'impensabile.

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