sabato 22 gennaio 2011

Viaggio nella mente di un attentatore [ricerca] - Wired.it

La speculazione pubblica sulle ragioni che hanno portato un ragazzo di 22 anni a tentare di uccidere una donna membro del Congresso degli Stati Uniti è sempre maggiore, ma uno studio poco conosciuto dei Servizi Segreti suggerisce che la verità potrebbe essere spaventosamente banale.

Questo Exceptional Case Study Project, completato nel 1999, riguarda tutte le 83 persone che hanno ucciso o tentato di uccidere un personaggio pubblico negli Stati Uniti tra il 1949 e il 1996. 

Abbiamo avvicinato un numero di individui, molti dei quali in prigione”, afferma lo psicologo forense Robert Fein, che ha co-diretto lo studio assieme a Bryabn Vossekuil dei Servizi Segreti. “Ci siamo rivolti a loro in quanto esperti in questa rara tipologia di comportamento. Stiamo cercando di prevenire questo tipo di attacchi e ci interessa il loro punto di vista”.

Fein
ha intervistato 20 attentatori ancora in vita e ha passato al setaccio le vecchie prove dei casi. Il suo scopo era capire la sequenza di pensieri, i piani e le motivazioni che hanno trasformato una persona oppressa, ma ordinaria, in un aspirante assassino nel giro di mesi o anni.

Contrariamente alle credenze popolari sugli omicidi di personaggi pubblici, gli aggressori non aderiscono a nessun particolare profilo demografico. Ma quando Fein ha ricostruito il loro pattern di pensiero, è stato in grado di individuare alcuni moventi ricorrenti per l’uccisione di un personaggio pubblico, moventi che sembravano coerenti, indipendentemente dal fatto che l’individuo fosse mentalmente instabile o no (e tre quarti degli assassini non lo erano).

Alcuni speravano di raggiungere la notorietà uccidendo una persona conosciuta. Altri invece volevano porre fine ai propri dolori finendo uccisi dai Servizi Segreti. Altri ancora speravano di vendicare delle lamentele idiosincratiche percepite, che non avevano niente a che vedere con la politica. Altri speravano, irrealisticamente, di salvare il paese o di volgere l’attenzione nei confronti di una determinata causa. Infine altri speravano di raggiungere un rapporto speciale con la persona che stavano uccidendo.

Al di là di queste scoperte, lo studio ribalta l’immagine del killer di politici o di celebrità come uno stalker minaccioso. È vero che i politici e le celebrità ricevono migliaia di minacce ogni anno, ma quelle minacce provengono da persone che non sono di certo questi assassini.

A differenza dei terroristi, che hanno seminato il panico con minacce pubbliche, sotanto il 4% degli aggressori ha avvertito i propri obiettivi mandando loro delle minacce. Quel silenzio sottolineava il loro desiderio di passare inosservati, afferma J. Reid Meloy, psicologo forense presso l’ Università della California a San Diego, che ha studiato gli omicidi di figure pubbliche.L’aspirante assassino spesso sceglie più vittime papabili.

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