Post n°179 pubblicato il 09 Aprile 2011 da BROWSERIKE se la fonte energetica del futuro fosse qualcosa di molto simile al petrolio? Anzi, di più, un parente prossimo dell’oro nero? È quello che suggererirebbe la recente corsa delle più potenti nazioni del mondo (Usa in particolare) all’estrazione di scisto bituminoso, un tipo di bitume sedimentario dal quale, con opportuni e dispendiosi procedimenti chimici, si può ottenere gas naturale non convenzionale.
Lo scisto è un materiale sedimentario bituminoso (sono considerati bitumi anche asfalto e catrame) molto ricco in idrocarburi che può essere trovato in grandi quantità nella crosta terrestre. Da questo tipo di roccia sedimentaria può essere prodotto prezioso gas naturale, il problema però è che, data la sua ridotta permeabilità, per poter estrarne gas è necessario provocare microfratture attraverso cui far filtrare dell’acqua trattata. Questo porta ai processi estremamente invasivi che si stanno diffondendo negli Stati Uniti e in Cina, e che stanno procurando allo shale gas la cattiva fama di nemico dell'uomo.
A differenza delle tradizionali estrazioni petrolifere, per ottenere gas di scisto è necessaria una tecnica chiamata hydraulic fracturing, che implica l’attuazione di trivellazioni che si estendono orizzontalmente. Completata la trivellazione, nel canale creato viene pompata acqua mischiata a sabbia e a particolari composti chimici, per moltiplicare le fratture nel materiale bituminoso e permettere il recupero di gas attraverso l’acqua. Questa tecnica di estrazione è stata sviluppata e messa in opera solo di recente, abbattendo i costi di estrazione e rendendo il gas di scisto un’alternativa molto più abbordabile di quanto non lo fosse dieci anni fa.
Un altro idrocarburo, dunque, un’altra risorsa esauribile, un’altra fonte di emissioni la cui estrazione comporta interventi di perforazione parecchio invasivi. Possibile che questa sia considerata l’alternativa futura a petrolio e carbone? Sì, perché anche se negli anni lo scisto bituminoso non è mai stato preso troppo sul serio - per via dei suoi elevati costi di estrazione e raffinazione - dopo il disastro di Fukushima, con il prezzo del petrolio che sale inarrestabile, il terreno è ormai fertile per rivalutare qualsiasi alternativa energetica immediatamente spendibile; spesso a discapito di una transizione verso le rinnovabili che continua a procedere a scossoni.
Non sconvolge più di tanto quindi sapere che in tutto il mondo la corsa alle perforazioni idrauliche orizzontali sia partita in quarta. Pochi giorni fa la compagnia cinese Petrochina ha completato la prima massiccia trivellazione (un km in orizzontale, due in verticale) nella regione di Sichuan. Un mese fa, poi, la famosa compagnia australiana Bhp Billiton ha scucito 4,75 miliardi di dollari per comprare una riserva di scisto bituminoso sul suolo statunitense.
Ma la nuova frontiera energetica aperta da questa nuova tecnologia fa gola a tanti altri paesi, in particolare quelli che oggi dipendono in aprte dalle riserve energetiche di altre nazioni, come per esempio la Polonia, la Germania, la Francia e la Gran Bretagna. Parlando di impatto ambientale, per quanto concerne le emissioni, il gas di scisto rappresenterebbe un’alternativa più verde di petrolio e carbone. Il problema sono le tecniche di estrazione che, oltre a consumare ampie porzioni di terreno, creano non pochi problemi ai centri abitati limitrofi. Questa problematica è lampante negli Stati Uniti, dove le trivellazioni hanno fatto emergere 23mila miliardi di metri cubici di gas di scisto (più di 30 volte quanto ne viene consumato nell’intero paese), migliaia di cittadini si sono trovati con dei pozzi rumorosi a poche centinaia di metri (a volte addirittura nel cortile di casa, per via delle norme sui diritti minerari). Acque del rubinetto che prendono fuoco, specchi d’acqua neutralizzati della loro flora e fauna, bestiame contaminato per aver bevuto le acque di scarico dei pozzi. Una situazione drammatica che è stata raccontata con efficacia in un documentario intitolato GasLand.
Ma la protesta contro lo shale gas si è allargata anche fino ai paesi europei. In Francia, per esempio, è nato un movimento chiamato No Gazaran, che si batte per contrastare lo sfruttamento delle campagne attorno al Rodano. In Italia, dove dal 2009 è attivo il primo rigassificatore offshore Gbs al mondo, stando ad alcune analisi, non ci sarebbero le condizioni territoriali e logistiche, per traforare orizzontalmente le riserve di scisto come negli Stati Uniti. Eni, tuttavia, avrebbe in progetto di sfruttare il know-how che detiene in materia di gas non convenzionali, per finanziare estrazioni di gas di scisto in Algeria e Polonia.
Insomma, il gas di scisto potrebbe rappresentare un punto di svolta nella produzione energetica internazionale? La risposta è: dipende. Dipende dalla zona geografica di cui si parla. Se per gli Stati Uniti le riserve di gas non convenzionale possono effettivamente fare la differenza, lo stesso non vale per l’ Europa dove, stando a un calcolo fatto da Don Gauthier dell’US Geological Survey, bisognerebbe sfruttare una zona grande quando Belgio, Olanda e Lussemburgo messi assieme e ridurla a un colabrodo con almeno 6mila pozzi.
Senza contare, poi, che ancora non si conoscono con esattezza le dinamiche dell’estrazione di gas di scisto. Alcuni esperti valutano infatti che il picco di produttività potrebbe essere raggiunto presto, dopodiché la produttività si assesterebbe su un plateau di valori bassi. In quest’ottica, lo sfruttamento di shale gas potrebbe dunque aiutare a tamponare l’emergenza energetica nei prossimi anni, ma lascerebbe irrisolto il problema per le generazioni a venire.
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