L’acquerello, la più accessibile delle tecniche pittoriche, da sempre è associato a signore dell’alta società, bambini e gentiluomini in vacanza. Missione di Watercolour, la mostra alla Tate Britain, con le sue oltre duecento opere, è sfidare un’opinione radicata, offrendo una fresca valutazione di questa tecnica, della sua storia e del suo utilizzo dal Medioevo ai nostri giorni.
Leggero da trasportare e rapido nell’asciugare, non è un caso che l’acquerello fosse ampiamente utilizzato prima dell’invenzione della fotografia per immortalare paesaggi ed eventi all’aria aperta. Soprattutto a partire dal XVII secolo, quando alle grandi esplorazioni geografiche fa seguito una pressante necessità di classificare e catalogare nuove specie di piante e animali e di tracciare un piano dei nuovi territori. Non a caso questo periodo vede un grande sviluppo di ornitologia, botanica, zoologia e topografia. E non sorprende che questa nuova urgenza d’informazione trovi la sua forma ideale nell’acquerello.Ma quest’urgenza non contempla, almeno inizialmente, il piacere estetico. Il che spiega la scarsa considerazione attribuita all’acquerello almeno fino al 1750, quando Paul Sandby comincia a servirsene, oltre che nei rilievi topografici, anche nelle sue pacifiche e intime descrizioni paesaggistiche della campagna inglese, trasformando questa tecnica in un mezzo espressivo vero e proprio, e aprendo la strada ai geni del Romanticismo.
E le qualità che hanno fatto dell’acquerello la tecnica preferita di Turner e Samuel Palmer un secolo prima sono le stesse che lo fanno apprezzare sui campi di battaglia della Prima guerra mondiale da artisti come Paul Nash ed Edward Burra. Ma a questo punto l’allestimento da cronologico diventa tematico (Watercolour and War) e la selezione dei dipinti sembra essere legata più al soggetto che alla loro pertinenza come esempi della tecnica e del suo uso.Secondo i curatori di Watercolour, infatti, l’uso dell’acquerello non finisce nel XIX secolo con la cosiddetta “età d’oro” di William Blake, Thomas Girtin e del genio indiscusso di Turner, ma continua con l’età contemporanea. E se è innegabile che – da Peter Doig, Anish Kapoor e Patrick Heron - esiste oggi un numero di grandi nomi del panorama contemporaneo che fa uso dell’acquerello, è altrettanto vero che nell’ultima sala (Abstraction and Improvisation) il percorso della mostra, finora così chiaro e coerente, sembra perdere solidità.
Come se, con l’avvicinarsi del XXI secolo, i curatori si siano improvvisamente trovati a corto di materiale e abbiano dovuto ricorrere a misure d’emergenza, come l’inserimento di Opportunity for Girls (2006) di Karla Black, installazione in cellophane che tuttavia dell’acquerello come tecnica complessa sembra raccontare ben poco. Ma questo è un episodio isolato e, tutto sommato, giustificabile nel contesto di una mostra il cui grande merito è l’aver voluto sfidare i preconcetti associati a una tecnica troppo spesso sottovalutata.Paola Cacciari
dal 16 febbraio al 21 agosto 2011
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