venerdì 18 marzo 2011

CIBERNIX - Frustrazione ciibernetica

NO al NUCLEARE

Post n°151 pubblicato il 18 Marzo 2011 da BROWSERIK

Uniti per il no al nucleare. Se c’è un tema, dopo la Nazionale, che unisce la maggior parte degli italiani, è senza dubbio quello del no al nucleare. E dopo quasi 25 anni dall’ incidente di Chernobyl, che segnò in maniera determinante l’uscita dal settore del nostro paese, ora un nuovo incidente, quello delle centrali nucleari di Fukushima, alla vigilia di un nuovo referendum indetto proprio per contrastare il ritorno al nucleare del nostro paese fortemente sostenuto dal Governo Berlusconi, rischia di mettere la pietra tombale sull’atomo “Made in Italy”.

Eppure negli ultimi anni, nonostante l’abbandono del settore e la chiusura delle centarli qualcosa è rimasto a covare sotto la cenere. A mantenere caldo il cuore atomico del paese sono state essenzialmente le università e quegli studenti, che negli ultimi venti anni, nonostante il blocco hanno continuato a iscriversi alle facoltà di ingegneria nucleare.

Qualcuno di loro poi è tornato anche a essere assunto da società italiane, come per esempio l’Enel che il loro ritorno al nucleare, anche se a livello internazionale, lo hanno fatto già da un pezzo.

“Fa piacere", racconta Giuseppe Forasassi, presidente del Cirten, il consorzio di università che si occupano di ingegneria nucleare, "che questi ragazzi vengano assunti per costruire centrali nucleari. Finora era difficile per un neoingegnere nucleare trovare un impiego nel settore in Italia. Quello che è successo all’Enel è un segnale di speranza dopo venti anni di ostracismo da parte di tutto il paese”.

La scelta di tornare al nucleare ha fatto rifiorire, almeno in parte il Rinascimento Nucleare anche nel nostro paese. Per un po’ anche i sondaggi indicavano che la percentuale di italiani favorevole alla riapertura delle centrali era almeno pari a quella dei contrari. Un dato davvero storico se si confronta con le percentuali bulgare del no all’atomo segnato da sempre sa tutti gli indicatori.

In questi venticinque anni, da Chernobyl a oggi, nelle università italiane non si è perso il treno della ricerca e gruppi di ingegneri e di ricercatori sono inseriti all’interno dei principali programmi di sviluppo delle piattaforme nucleari in fase di sviluppo ( i reattori di terza generazione avanzata e in quelli di quarta), in quelli puramente sperimentali, come per esempio i progetti che riguardano la fusione nucleare, e in quelli che sono pronti a entrare in fase operativa, come per esempio i reattori di terza generazione, che se, dovesse passare il no al referendum, dovrebbero essere istallati in Italia. Particolarmente attiva la pattuglia di neoingegneri che sta lavorando sui reattori di terza generazione: l’Epr francese e Ap 1000 nippo-americano. Si tratta di reattori che sono stati sviluppati anche con il concorso di ricercatori e di imprese italiane.  

Per esempio l’Ap 1000 è stato in parte collaudato presso gli impianti della Siet di Piacenza, una società che fa capo a Enea, mentre Ansaldo participa attivamente alla realizzazione dei primi impianti in Cina con un contributo particolare, proprio in merito ai nuovi sistemi di sicurezza passiva del nuovo reattore.

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Ma è sul fronte dei reattori di terza generazione avanzata e in quelli di quarta che i ricercatori italiani sono più attivi. Soprattutto perché in questo ambito hanno potuto lavorare sfruttando i finanziamenti europei destinati allo sviluppo di queste tecnologie. Sono 6 tipologie di reattori (a gas ad alta temperatura, a sodio, a piombo, a sali fusi, ad acqua supercritica e a gas veloce) che dovrebbero dare risposte decisive in termini di sicurezza, economicità, non proliferazione (dovrebbero rendere molto difficoltosa l'estrazione del Plutonio) e combustibile: sono soprattutto reattori a neutroni veloci, che produrranno più combustibile rispetto a quello che bruciano e che potranno anche bruciare i rifiuti nucleari, riducendo molto la vita degli stessi e la loro pericolosità. “Alcuni di questi potranno anche essere utilizzati per produrre idrogeno”, spiega Marco Ricotti, ingegnere del Politecnico di Milano. Si tratta però di impianti che per il momento stanno solo sulla carta e che sono ben al di là dall’essere realizzati ma che intanto vengo studiati e sviluppati anche nel nostro paese.

Se però dal Giappone dovessero continuare ad arrivare notizie allarmanti allora il destino di questi programmi appare segnato, nonostante la voglia del Governo di tornare all’atomo, e il desiderio dei ricercatori di lavorare in Italia.

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