mercoledì 30 marzo 2011

CIBERNIX - Frustrazione ciibernetica

Rapporto sulla pena di morte di morte

Post n°166 pubblicato il 30 Marzo 2011 da BROWSERIK

 

Se dovessimo accontentarci dei dati che leggiamo nell’ultimo Rapporto di Amnesty International sulla pena di morte nel mondo faremmo fatica a trovare delle ragioni per essere ottimisti.

Le 527 condanne eseguite nel 2010 a cui va aggiunto il numero imprecisato (ma che è ragionevole immaginare vicino al migliaio) delle fucilazioni cinesi e le 17.833 persone che alla fine dell’anno risultavano rinchiuse nel braccio della morte, non sono certo trascurabili imperfezioni sulla fotografia del pianeta che Amnesty ci consegna nel documento “Condanne a morte ed esecuzioni nel 2010”.

Sono piuttosto evidentissime e sgradevoli macchie indelebili che hanno dimostrato di poter resistere alle sempre più pressanti iniziative della politica internazionale per l’abolizione della pena di morte nel mondo.

Basti pensare che la terza risoluzione dell’ONU sulla moratoria, votata lo scorso dicembre, aveva contato 109 voti favorevoli, 41 contrari e 35 astenuti. Per fortuna però abbiamo una lunga serie di vecchie istantanee con cui confrontare l’attuale immagine del mondo.

E il paragone ci spinge a vedere il bicchiere mezzo pieno: nel 1977, quando Amnesty cominciò a monitorare il mondo e le sue letali strategie punitive, i paesi che avevano abolito la pena di morte erano 16, mentre oggi gli abolizionisti sono 139 (96 hanno eliminato la pena capitale dai propri ordinamenti giuridici, 9 vi ricorrono solo per casi eccezionali, 34 sono abolizionisti de facto), negli ultimi dieci anni ben 31 paesi hanno rinunciato a sedie elettriche e iniezioni letali e, rispetto al 2009, le esecuzioni nel mondo sono passate da 714 a 527.

Il trend generale è quindi chiaramente a favore del fronte abolizionista, anche se qualche passo indietro rispetto al 2009 c’è stato: alcuni paesi che avevano sospeso le esecuzioni sono tornati a ingaggiare i boia. Tra questi ci sono l’Autorità Palestinese, la Bielorussia, e la Somalia responsabili rispettivamente di cinque, otto e due esecuzioni lo scorso anno. Il minimo storico raggiunto nel 2009 che registrava 19 paesi “praticanti” la pena di morte non è stato uguagliato nel 2010 che ha contato 23 Stati-aguzzini (due in meno però rispetto al 2008).

Al vertice della macabra classifica resta indiscussa la Cina, con un numero di esecuzioni protetto dal segreto di Stato ma che Amnesty quantifica con un provocatorio “migliaia” (nella vana speranza di venire smentito dalle autorità cinesi), seguono poi Corea del Nord (più di 60), Yemen (53), Usa (46), Arabia Saudita (più di 27). I sistemi utilizzati vanno dall’impiccagione della Corea del Nord, alla decapitazione in uso in Arabia Saudita, alla fucilazione adottata nello Yemen, all’iniezione letale dei penitenziari statunitensi.

Complice anche la penuria di Sodio Tiopentale, uno dei barbiturici somministrati al condannato a morte, che ha provocato una forzata moratoria, gli Stati Uniti hanno registrato un calo delle esecuzioni: dalle 52 del 2009 alle 46 del 2010.

Fa ben sperare la recente decisione dell’Illinois di cancellare dal proprio ordinamento la pena capitale, diventando così il 16° Stato degli USA ad aver detto addio al braccio della morte.

E’ accaduto all’inizio di marzo del 2011 per cui incontreremo l’Illinois tra i paesi abolizionisti nel prossimo Rapporto di Amnesty. Speriamo di poterlo trovare in buona e numerosa compagnia.

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