mercoledì 13 aprile 2011

Un bottone per mettere al sicuro i media attivisti? - Wired.it

Un bottone per mettere al sicuro i media attivisti?

Il Dipartimento di Stato Usa sta lavorando a un’app per aiutare i media-activist. In caso di pericolo potrebbero "lanciarla" per cancellare tutte le informazioni sensibili che hanno sul telefonino. Ma in molti hanno delle perplessità

13 aprile 2011 di Fabio Deotto

Il bottone del panico, il governo americano si improvvisa mobile-activist

Il bottone del panico, il governo americano si improvvisa mobile-activist

 

  • Il bottone del panico, il governo americano si improvvisa mobile-activist

    Il bottone del panico, il governo americano si improvvisa mobile-activist

    Il bottone del panico, il governo americano si improvvisa mobile-activist

 

Niente da fare, più ci penso più lo scenario che mi viene in mente è il seguente: Un fanatico religioso sta preparando un attentato da mesi, nel suo smartphone ha conservato le mappe, la tabella di marcia, gli indirizzi e i numeri dei soci con cui si prepara a fare il botto. A un tratto però, sente il dorso di un manganello battere impaziente contro la sua porta di casa, sono gli sbirri, sono venuti a prenderlo. Il tizio allora schiaccia un bottone rosso sullo schermo del suo smartphone e in un gesto cancella ogni possibile dato incriminante, inviando nel contempo un segnale d’allerta a tutti i suoi complici.

Perchè racconto questo? Perché il Dipartimento di Stato degli Stati uniti d’America ha annunciato di stare sviluppando un'app per smartphone che è stata temporaneamente chiamata bottone del panico. E non si tratta di una burla d’aprile dal sapore Orwelliano, bensì il primo prodotto dei 22 milioni di dollari che il governo Obama ha investito in un progetto chiamato Internet Freedom Programming. L’app, progettata per funzionare su Android e sui cellulari Nokia più economici, consentirebbe di eliminare ogni dato sensibile sul proprio dispositivo mobile e di allertare contemporaneamente tutte le persone coinvolte in azioni “incriminanti”, semplicemente premendo un tasto.

Stando alle parole di uno degli uomini dell’entourage di Hillary Clinton, Michael Posner, l’obbiettivo di questo progetto è quello di sostenere quelle persone che si battono in prima persona per la democrazia, in paesi come l’Iran e la Cina dove la libertà di espressione ha i catenacci alle caviglie: “ Quello che vogliamo fare, qui, è proteggere quelle persone che, in maniera pacifica, si battono per i diritti umani e per un dibattito più aperto”.

Il Dipartimento di Stato ha sfruttato i soldi investiti per finanziare progetti di ricerca e per istruire 5.000 attivisti provenienti da tutto il mondo ma sprovvisti delle tecnologie e della conoscenza necessaria a svolgere il loro lavoro al riparo dallo sguardo dei loro governi. Tra gli obbiettivi del progetto, oltre al bottone del panico, figurano sistemi per contrastare la censura governativa, per aumentare la sicurezza e la privacy delle comunicazioni mobile e per facilitare l’accesso alla rete in zone del mondo a rischio democratico.

Un’idea interessante, un progetto lodevole, certo. Qualcosa però non torna. Perché le cose sono due, anzi tre: o l’appoggio ai media-attivisti è improvvisamente diventata una priorità del Governo americano (e a giudicare dalla feroce risposta ai dispacci di Wikileaks non sembrerebbe); o il Dipartimento di Stato, come lascia supporre Posner, si sta comportando da venture capitalist e vuole investire nel trend del mobile-activism; oppure questo provvidenziale interesse per la libertà di espressione e per i bottoni del panico ha qualcosa di peloso. 
 
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