Non solo Apple: anche Android ti spia (col tuo consenso)
Dopo la notizia sull’iPhone segugio, il Wall Street Journal accusa anche Mountain View di controllare la posizione dei propri clienti. Ma Google Italia risponde che agli utenti viene chiesto un consenso espresso
22 aprile 2011 di Caterina ViscoGoogle ti spia (col tuo consenso…)
Google ti spia (col tuo consenso���)
Nei giorni scorsi Apple è stata accusata di spiare i propri clienti attraverso l’ iPhone e di registrare la loro posizione. Ma non è la sola. Insieme a Cupertino sul banco degli imputati c’è anche Google con Android. La denuncia arriva dal Wall Street Journal che ha raccolto le dichiarazioni di Samy Kamkar. Per chi non lo sapesse è l’autore del worm che nel 2005 ha provocato il crash di MySpace e ora si occupa di sicurezza online come freelance.
Secondo Kamkar, un telefono Htc Android raccoglie e trasmette ogni pochi secondi la sua posizione, l’identificativo unico del dispositivo nonché nome, luogo, e forza del segnale di ogni rete Wi-Fi nei dintorni. L’azienda di Steve Jobs, invece, ha ammesso già lo scorso anno, in una lettera ai congressisti statunitensi Edward Markey e Joe Barton, di raccogliere a intervalli regolari i dati di posizione, coordinate Gps comprese, di diversi utenti e delle reti Wi-Fi a loro vicine, ma non l’identificativo unico.
Già da tempo Google e Apple, rispettivamente la prima e la terza piattaforma per smartphone più usate negli Usa secondo comScore, hanno spiegato che raccolgono i dati di posizione degli hotspot Wi-Fi attraverso i loro dispositivi per creare enormi mappe delle reti e del traffico. Dati che possono essere usati anche per individuare la posizione dei dispositivi che stanno usando quelle connessioni. Ma la denuncia di Kamkar al Wall Street Journal va oltre: nei tabulati consegnati al giornale sono visibili anche gli identificativi che permettono di capire a quale telefonino corrispondono i dati raccolti. In altre parole, Google saprebbe in ogni momento qual è la posizione di ogni cliente. Ashkan Soltani, un consulente indipendente interpellato dal quotidiano ha confermato le conclusioni di Kamkar.
Se qualcuno si dovesse chiedere a che pro identificare la posizione di un singolo utente, la risposta è presto detta: spillare più denari possibile dal rubinetto dei cosiddetti servizi location-based. Un mercato per ora valutato 2,9 miliardi di dollari ma che, secondo la Gartner, raggiungerà entro il 2014 gli 8,3 miliardi. Non solo offrire pubblicità e servizi mirati a seconda se l’utente è in casa, vicino un determinato locale o in una via piena di negozi, ma anche tracciare nel tempo le abitudini dei clienti, conoscere gusti e abitudini: informazioni che anche molte altre aziende pagherebbero care per avere.
Sulla vicenda, Google Italia commenta: " Come si può vedere nella schermata, viene richiesto esplicitamente all'utente di condividere la propria location qualora lo si desidera e al fine unico di ottimizzare i servizi, ad esempio quello della ricerca: cerco pizzeria su Google e il motore mi restituisce risultati che rimandano a pizzerie milanesi, se questa é la città dove mi trovo e ho deciso di condividere questa informazione, anziché mostrarmi risultati che non mi porterebbero alcun valore aggiunto in mobilità.
Ciascuno di noi può scegliere se condividere o meno la propria posizione e questo é un elemento che ci preme sottolineare per chiarire che a monte c'è una decisione dell'individuo e non di Google.
L'interesse del motore di ricerca é fornire servizi utili e in mobilità questi sono spesso legati al luogo in cui ci troviamo, tuttavia a monte ci deve essere il consenso dell'individuo, che in ogni caso non può essere identificato personalmente".
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