lunedì 9 maggio 2011

CIBERNIX - Frustrazione ciibernetica

S O V R A P P O P O L A M E N T O

Post n°208 pubblicato il 10 Maggio 2011 da BROWSERIK

Qualche mese fa, il National Geographic aveva messo in copertina un grande numero 7. Si riferiva ai miliardi di persone che popoleranno questo pianeta entro l’autunno. In contemporanea la testata aveva depositato in Rete un video virale che illustra come la crescita demografica mondiale sia ancora preoccupantemente in attivo.

 

Quattro mesi dopo, però, quel quota 7 miliardi in qualche modo desta molte meno preoccupazioni. E questo non solo perché la copertina (e il video) non sono più sotto il naso di tutti, ma perché le Nazioni Unite hanno appena pubblicato un rapporto che ci spinge a spostare l’orizzonte un po’ più in là, al lontano 2100, dove si allarga uno scenario ben più preoccupante.

Lo United Nations Department of Economical and Social Affairs ha diffuso in questi giorni nuovi dati che correggono sensibilmente il tiro rispetto alle proiezioni diffuse nei mesi scorsi. I dati relativi alla fertilità, in particolare nei paesi africani, indicano un valore superiore a quello atteso, in ragione del quale il rapporto suggerisce la possibilità che la popolazione mondiale raggiunga quota 10,1 miliardi entro il 2100, 8 dei quali interesseranno Asia e Africa (basterebbe un lieve aumento nel tasso di fertilità, perché la cifra si impenni fino ai 15 miliardi). Naturalmente, si tratta solo di previsioni, ma basta considerare quanto dettagliate appaiono le proiezioni per ogni paese ( qui quelle relative all’Italia) per rendersi conto che le statistiche delle Nazioni Unite non sono campate per aria.

Ovviamente, l’immagine cambia a seconda dell’angolazione che scegli. Perciò dal punto di vista di chi abita in Italia, per esempio, l’imminente superamento di quota 7 miliardi non desta le stesse immediate preoccupazioni di chi invece vive in Africa. Stando alle previsioni fornite dal rapporto, infatti, la popolazione italiana dovrebbe crescere fino a raggiungere i 61 milioni di persone nel 2020 per poi cominciare a scendere arrivando ai 55 milioni entro il 2085, più o meno la popolazione che la penisola aveva nel 1975 (ma con un’aspettativa di vita che si arrampicherà fino all’impressionante media di 92 anni).

Prendiamo invece il caso della Sierra Leone: il paese africano oggi conta una popolazione di quasi 6 milioni di individui, ma stando al rapporto della Nazioni Unite entro il 2100 arriverà a quota 14 milioni, e l’aspettativa di vita dai 48 anni di oggi schizzerà ai 74. Ma la situazione è ancora più critica in altri paesi africani, per esempio la Nigeria, che si prevede passerà dai 160 a 730 milioni di abitanti.

Ciò che emerge chiaramente, guardando il rapporto nel suo insieme, è che la strada che nel giro di 90 anni porterà l’umanità dai 7 ai 10 miliardi non sarà ugSe Africa, America Latina e Nord America andranno incontro a un’esplosione demografica vera e propria, Europa e Oceania cresceranno in maniera molto meno significativa, mentre l’Asia dopo un primo periodo di crescita si troverà probabilmente a fronteggiare una forte contrazione che livellerà il picco fino a portarlo sotto quota 5 miliardi (per la Cina in particolare, è possibile che la contrazioni porti la sua popolazione a scendere sotto il miliardo).

Non è difficile immaginare quali conseguenze questo aumento di popolazione comporterà a livello di fabbisogno energetico, alimentare e sulla densità abitativa delle metropoli. È complicato piuttosto prefigurare le soluzioni da adottare per impedire che il nostro pianeta collassi su se stesso. Potrà sembrare banale, ma il primo fronte su cui è necessario concentrarsi è quello del controllo delle nascite. Il che non significa assolutamente imporre a livello mondiale leggi folli come quella cinese del figlio unico, piuttosto muoversi per dare la possibilità di ricorrere a contraccettivi a quei 215 milioni di donne in tutto il mondo che sarebbero disposti a usarli, ma non sono in condizioni di farlo (vuoi per ragioni culturali o di mera disponibilità dei prodotti).

A questo proposito va menzionato anche il diffondersi del birth spacing, la tendenza di alcuni nuclei familiari nei paesi in via di sviluppo a pianificare (in modo volontario, s’intende) le nascite in modo da poter far fronte alle necessità dei nuovi nati. Il secondo fronte su cui è necessario attivarsi fin da subito è quello della scarsità di cibo, che già oggi interessa in massima parte i paesi in via di sviluppo. La soluzione più ovvia sarebbe quella di aumentare la produttività di coltivazioni e gli allevamenti, ma la situazione reale è più complessa. Più che aumentare il numero di coltivazioni o allevamenti, infatti, è necessario ottimizzare quelle già esistenti, e il modo più semplice ed efficace per farlo, volenti o nolenti, è sfruttare le tecnologie dell’ ingegneria genetica.

Per farsi un’idea delle ricerche attualmente mirate alla risoluzione di questi problemi, sul sito dell’associazione Feed the Future si trova un prospetto molto dettagliato. Aumentare la produttività agricola significa prima di tutto ridurre l’impatto di pesticidi, condizioni ambientali sfavorevoli come la siccità e le alluvioni, e allo stesso tempo individuare o sviluppare specie mirate in grado di sfruttare con elevata efficienza l’acqua disponibile e i nutrienti del terreno (esistono ricerche analoghe indirizzate agli allevamenti). Naturalmente, l’utilizzo di Ogm e di tecnologie simili desta non poche preoccupazioni (spesso, va detto, dettate da scarsa conoscenza dell’argomento), per questo le ricerche di Feed the Future si stanno concentrando principalmente sulla tutela della salute degli allevamenti e dei futuri consumatori.

Ma una popolazione superiore ai 10 miliardi richiederà anche un ripensamento della produzione energetica uguale per tutti. Mentre il sipario cala velocemente sul petrolio e gli idrocarburi, mentre il nucleare si dimostra un candidato sempre meno spendibile come risorsa energetica del futuro, l’attenzione si sta gradualmente spostando su macro-progetti di produzione energetica come Desertec. C’è anche chi sta già pensando come fare incontrare la necessità di far fronte alla sovrappopolazione con gli obiettivi di sostenibilità ambientale. È il caso di Ahmed Rashed, professore in architettura presso la British University egiziana del Cairo. Per far fronte ai 180 milioni di egiziani previsti già nel 2050, Rashed ipotizza la costruzione di una nuova capitale nel deserto, a 300 km dal Cairo, e che sia costruita secondo i precetti dell’architettura verde, e dunque eco-sostenibile e energeticamente autonoma. Ma c’è anche chi getta l’acqua sul fuoco e si dichiara ragionevolmente certo che la bomba demografica possa essere disinnescata oggi, come è già stato fatto in passato.

Tra questi l' economista David Lam: “ Abbiamo attraversato periodi con tassi di crescita senza precedenti”, afferma, riferendosi al boom demografico che negli anni ’60 aveva fatto temere un raddoppio della popolazione mondiale in meno di 30 anni: “ Ciò nonostante, la produzione di cibo è aumentata con una velocità ancora maggiore e i tassi di povertà sono sostanzialmente diminuiti”. Le tesi di Lam sono piuttosto argomentate. Un dato tuttavia rimane, e il rapporto delle Nazioni Unite non manca di sottolinearlo: 1 miliardo di persone su questo pianeta soffrono la fame. Questa non è una proiezione, è un dato effettivo, e fa riferimento a oggi.

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