venerdì 20 maggio 2011

L’arte e il vil denaro. È ora del festival arte Contemporanea di Faenza | Artribune

L’arte e il vil denaro. È ora del festival arte Contemporanea di Faenza

Fare arte – Gilberto Zorio – photo Giorgio Guarino

Finalmente parliamo un po’ di danari! Che l’edonismo appaga, la bellezza ci salverà e guai a essere veniali… ma gli artisti a far la spesa al minimarket ci devono andare, i critici non mettono insieme il pranzo con la cena; e i conti al ristorante pagati con uno schizzetto sul tovagliolo sono roba buona giusto per I colori dell’anima, la fanta-cine-biografia di Modigliani con Andy Garcia.
E allora il quarto festival dell’arte Contemporanea di Faenza, coraggioso appuntamento con l’arte raccontata e non esposta, punta il riflettore sul sistema delle committenze: pubbliche e private, ce n’è per tutti. O meglio: non ce n’è per nessuno, viene da dire; abbiamo tutti scritto tanto su tagli dei finanziamenti pubblici e sordità dei privati che ci sono venuti i calli… guai ad arrendersi, però; guai a rinunciare a leggere il fenomeno nel suo evolversi continuo; guai a non chiedersi, anche un po’ furbescamente, chi e come oggi possa sostenere il carosello dell’arte contemporanea.

Pierluigi Sacco – photo Pierpaolo Poli Cappelli

Sornione il titolo del meeting, che con i suoi 120 ospiti anima questo angolino di Romagna da domani a domenica 22 maggio. Forms of collecting / Forme della committenza: una falsa traduzione che in realtà è integrazione. O meglio: che induce a viaggiare sul doppio binario del collezionismo, fenomeno intimo e rapporto quasi morboso, animale fra artista e acquirente; e della committenza, vissuta nella sua accezione più matura, ragionata, storica. E per definizione pubblica.
Se ne parla con gente che sa cosa dice, come nella tradizione di un piccolo-grande evento capace di accogliere bene le idee e smerciarle con una formula easy, quasi pop, certo non convenzionale e per questo fortunata. Fresca, chiaro: e non è un caso allora se anche quest’anno si punta sulla fitta presenza di giovani. Animatori della città in veste di volontari, con le loro magliettine personalizzate dalla “C” rosa del festival; ma anche e soprattutto pubblico di un appuntamento che si sta ritagliando – un anno alla volta – spazi sempre più qualificanti.

Il pubblico del festival – photo Silvia Rizzi

A raccontare, raccontarsi ma – si spera! – non raccontarsela, Martin Bethenod, a cui chiedere i misteri della collezione Pinault e l’affaire Punta della Dogana; ma anche Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Patrizia Brusarosco di Viafarini e Nicoletta Fiorucci, per un quadro specifico sull’Italia.
Sguardo ampio invece con Viktor Misiano, che dopo aver vissuto al Pushkin s’è dato al nomadismo culturale a seguito dello splendido carrozzone di Manifesta; con Bartomeu Mari, a guida del MACBA di Barcellona, e con Frances More, curatore alla Tate Modern.
E se proprio siete didascalici e a parlare d’arte volete pure gli artisti, beccatevi Grazia Toderi e Goshka Macuga; e se ancora non vi basta, golosoni, arriva pure Joseph Kosuth.
Gli ingredienti per un appuntamento di qualità ci sono tutti: non manca pure qualche insidia, però. Occhio ai regionalismi: considerato il tema del festival, affrontare il discorso “fondazioni bancarie” ed esaurirlo invitando Cassa di Risparmio di Bologna e Cassa di Risparmio di Modena rischia di circoscrivere un capitolo che merita invece molta attenzione. E attenzione pure ai giornalisti, brutta razza. L’anteprima del festival è stata insultata da una bordata savonaroliana de Il Fatto Quotidiano, che lamentava i costi – giudicati elevati – dell’appuntamento. Aprire con Massimo Cacciari (a quattrocchi con ABO) e Salvatore Settis farà rizzare i peli ai cronisti che scrivono con la destra. C’est la vie!

Francesco Sala


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