venerdì 20 maggio 2011

Moderna Museet di Stoccolma


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Il Moderna Museet, dove Warhol pronunciò la frase dei 15 minuti di celebrità, si trova nel cuore della capitale svedese: addentriamoci nei suoi spazi.

È un'istituzione giovane, nata poco più di mezzo secolo fa, eppure s'inserisce in maniera organica nel tessuto cittadino in cui sorge. Diversamente dalle architetture museali odierne, non si distingue per un forte impatto visivo, ma si apre al pubblico mostrandosi nella sua razionalità spaziale quasi silenziosa.
È un edificio basso, con facciata cromaticamente uniforme e a vetrata continua su cui campeggia, a grandi lettere, il nome: Moderna Museet.

Il messaggio è chiaro sin dall'esterno: la temporalità delle sue collezioni trapela già dalle Nanas di Niki de Saint Phalle e dai due Mobiles di Alexander Calder situati nello spazio verde antistante.
Ma addentriamoci più a fondo in questo percorso, alla scoperta di un museo da cui un Paese come l'Italia avrebbe molto da imparare(1).


Varcata la soglia si entra nella hall, spazio equamente suddiviso tra le aree di servizio - bookshop, guardaroba, bar, corridoio che mette in comunicazione il Moderna con l'Arkitekturmuseet (2) - e di accoglienza al pubblico.
Qui si trova infatti la bigliettera/ opera d'arte realizzata da Barbara Kruger in occasione del cinquantesimo anno di vita del museo, caduta nel 2008: dei pannelli iconografici in bianco e nero con degli slogan rosso fuoco, nel suo stile più consueto.

Subito, sulla sinistra, si dispiegano le sale ospitanti le collezioni, attualmente incrementate grazie a una ricca donazione di fotografie che annovera nomi del calibro di Diane Arbus, Irving Penn, Cindy Sherman e Olafur Eliasson. Gli allestimenti sono differenti, di sala in sala, e variano in base al formato delle opere (troviamo l'accrochage laddove le foto sono più piccole) e alla tipologia tematica - la drammaticità corrisponde a un ambiente più scuro, con luci basse e puntate a spot sulle immagini -, ma sono tutti ad alto tasso narrativo.
E per i momenti di riposo, sono stati collocati dei tavoli con cataloghi e riviste da consultare liberamente, in vista di una fruizione tranquilla e condivisa.

La seconda parte dell'itinerario museale è invece dedicata all'esposizione delle opere pittoriche, di grafica e alle installazioni risalenti alla prima metà del Novecento. Alcune delle stanze meglio riuscite sono dedicate al Dada - vi sareste mai aspettati di trovare, a Stoccolma, Il grande vetro di Marcel Duchamp? - e alla grafica russa: un'intera parete visivamente armonica su cui sono affissi alcuni dei saggi più importanti dei protagonisti dell'avanguardia russa, tra cui Aleksandr Rodčenko, in dialogo serrato con Il monumento alla Terza Internazionale di Tatlin.

Si torna in corridoio, diretti verso l'uscita, e ci si fa guidare da una frase al neon di Joseph Kosuth tratta da un'opera di Strindberg, in pieno Swedish style. Perché lo spirito del Nord sia sempre presente.

 

(1) La situazione italiana sorge su basi totalmente differenti, come sottolinea anche Antonella Huber nel suo testo Il Museo Italiano, giacché molto spesso un museo è allestito all'interno di un edificio storico, ma la realtà museale del contemporaneo sembra essere ancora oggi un tasto piuttosto dolente nella realtà nazionale, fatta eccezione per alcuni casi isolati e ben riusciti, come il Mart di Rovereto.
A. Huber, Il Museo Italiano, Lybra Immagine, Milano 1997.

(2) Ma è presente anche un ristorante e, al piano di sotto, si trovano il riallestito studio di Pontus Hulten e un cinema-auditorium.

SILVIA COLOMBO for ARTITUDE

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