Quello spione del pulsante Like
Un'inchiesta del Wall Street Journal afferma che Facebook e Twitter usano un cookie per tracciare la navigazione degli utenti
19 maggio 2011 di Alberto GrandiLife, Facebook
Secondo un’inchiesta del Wall Street Journal il widget Like di Facebook e il widget Tweet di Twitter che troviamo affiancati ai contenuti online di alcuni siti di news o di ecommerce, non hanno la sola – dichiarata – funzione di rendere gli stessi contenuti condivisibili. Ne hanno un’altra, non altrettanto dichiarata, di seguire l’utente fino a profilare la rotta della sua navigazione Web. Per far ciò, non è necessario che l’utente abbia cliccato il pulsante Like o Tweet, basta che si sia loggato a Facebook o a Twitter nell’ultimo mese. L’operazione del login, sempre secondo l’inchiesta del WSJ, contaminerebbe il browser con un cookie-spia che smetterebbe di funzionare solo dopo aver effettuato il logout.
I big del Web come Facebook, Twitter e Google hanno sempre dichiarato di usare i dati personali degli utenti nel massimo rispetto della privacy e anzi, è successo che l’uno abbia accusato l’altro di non farlo. Facebook ha specificato che i dati eventualmente registrati dai social widget vengono resi anonimi, cioè dissociati dall’identità dell’utente che se li “trascina dietro”, e cancellati dopo novanta giorni. Google cancellerebbe quelli raccolti dal suo Buzz ancora prima: nel giro di due settimane. Twitter ha confermato di cancellare tutto rapidamente dai propri server. Il fatto che un cookie rimanga attaccato per un mese e richieda il logout per essere debellato suona però sospetto. Facebook conferma e risponde che il cookie colpisce non solo gli iscritti al social network anche chi non lo è e ha semplicemente visitato la home page Facebook.com. Ma perché? Per proteggere Facebook da chi tentadi violarlo attraverso l’account di un iscritto.
Le spiegazioni per motivare l’esistenza di questi cookie sono tante come le rassicurazioni riguardo alla funzione dei widget: non schedare, ma condividere. L’unico uso interno che ne fanno le aziende è misurare il successo di un contenuto online a cui essi sono associati. Rimangono però i sospetti. E i dati raccolti dal WSJ nel corso di una ricerca condotta con la collaborazione di Google. Per determinare quanto i pulsanti di condivisione siano parte del nostro traffico quotidiano, la testata ha fatto una richiesta a un former engineer di Mountain View, Brian Kennish: esaminare i mille siti più popolari e capire in che modo la presenza degli utenti nelle loro pagine veniva registrata dai big del Web. Kennish ha studiato 200 mila pagine web e ha scoperto che, dei mille siti più visitati, 331 trasferivano dati sulla navigazione web a Facebook, 250 a Google e 200 a Twitter. Ciò significa che, attraverso i pulsanti di condivisione, un terzo dei siti più visitati al mondo comunica il nostro passaggio a Facebook, il 25% a Google e il 20% a Twitter.
Avete ancora voglia di condividere?
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