Lo scontro tra Palestina e Israele arriva su Facebook
Sul popolare social network viene invocata la Terza Intifada Palestinese. La pagina viene rimossa, ma troppo tardi. E ci sono state decine di morti
16 maggio 2011 di Martina Saporitiintifada
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Pagina successivaI rivoluzionari del passato usavano volantini per diffondere le loro idee e raccogliere seguaci. Ma i tempi cambiano e anche le rivoluzioni devono stare al passo con la modernità. Così, sembra che i rivoluzionari del presente abbiano trovato uno strumento più efficace per chiamare le masse all’azione: i social network. Dopo le rivolte africane, l’ultimo caso arriva dal Medio Oriente.
Lo scorso 15 maggio, per celebrare il Nakba Day, giorno di commemorazione per i Palestinesi che hanno perso le loro case durante la guerra, è stata organizzata una marcia verso i confini di Gaza, Israele e Cisgiordania. A scendere in strada sono stati migliaia di rifugiati, il bilancio degli scontri con i soldati israeliani di decine di morti. E indovinate da dove era stato lanciato l’appello a marciare? Da una pagina di Facebook, appositamente creata per spingere i rifugiati a manifestare.
La pagina, intitolata La Terza Intifada Palestinese, è apparsa sul sito del famoso social network a marzo, registrando subito migliaia di sostenitori. Anche se il suo anonimo creatore si è impegnato a censurare i post più violenti, la notorietà della pagina è stata subito così alta ( 340 mila fan) da rendere vano qualsiasi tentativo di controllo, lasciando sfuggire messaggi e video inneggianti alla violenza contro Israele e gli ebrei. Ecco perché, su richiesta della Lega Anti-Diffamazione (Adl) e in risposta a una lettera inviata a Zuckerberg da Yuli Eldestein, Ministro per le Questioni della Diaspora, Facebook ha rimosso la pagina a fine marzo. Un gesto che per alcuni è arrivato troppo tardi. È quanto sostiene, per esempio, Larry Klayman, un avvocato ebreo americano che ha citato Zuckerberg per un miliardo di dollari accusandolo di aver messo a rischio la sua vita non essendosi preoccupato di rimuovere la pagina immediatamente.
Ma ormai il danno era fatto, e in molti hanno approfittato della notorietà mediatica. Alcuni ufficiali di Fatah rivelano di aver fatto proseliti grazie alla Facebook Intifada, mentre i finanziatori iraniani di Hamas hanno accolto entusiasticamente l’idea di una Terza Intifada, di cui si è parlato online anche in canali televisivi come Press Tv. Ma, a ben vedere, tutta la faccenda sembra non avere un padrone ufficiale. A ideare il progetto non sarebbero stati Fatah, Hamas o attori stranieri, ma la gente comune. Chi comincia a frequentare Facebook, Twitter e YouTube sono giovani palestinesi vittime della diaspora o arabi e musulmani che hanno sposato la loro causa.
Anche se quello della Terza Intifada potrebbe essere solo un fuoco di paglia, è vero che la Rete sta diventando sempre più luogo privilegiato d’azione per i rivoluzionari palestinesi. Basta dare un’occhiata al profilo di Rassoul Allah, che su Facebook chiede ai suoi 3,5 milioni di sostenitori se siano “ pronti al martirio per liberare la Palestina e la Moschea di al-Aqsa”.
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