Una piccola turbina nelle arterie
Un sistema per autoalimentare pacemaker e dispositivi biomedici elettrici, risolvendo il problema delle batterie. Come? Con una piccola centrale idroelettrica nel sangue messa a punto da un gruppo di ricercatori svizzero
20 maggio 2011 di Anna Lisa BonfranceschiGlobuli rossi
Energia idroelettrica dal sangue, direttamente dalle arterie. Un gruppo di ricercatori dell’ Università di Berna, in Svizzera, e della Berner Fachhochschule (l’Università di Scienze applicate della capitale elvetica) ha infatti creato una turbina per generare energia elettrica a partire dal flusso sanguigno. Lo scopo: trovare il modo più efficace per ricaricare dispositivi medici elettronici come pacemaker, sensori di pressione o pompe a rilascio programmato di farmaci. Ed evitare così i pit stop necessari al cambio di batterie. L’innovativa turbina è stata presentata nel corso della Microtechnologies in Medicine and Biology Conference di Lucerna.
L’idea di concepire il corpo come una macchina che produce energia – con le sue variazioni di pressione, i cambiamenti di temperatura e il movimento dei liquidi – non è nuova, e qualcuno aveva già pensato a un modo a come sfruttarla. Nel 2005 per esempio, Dan Gelvan della Sirius Implantable Systems ha ricevuto un brevetto per un dispositivo in grado di produrre energia attraverso l’ effetto piezoelettrico, sfruttando il movimento degli organi interni. Stavolta invece i ricercatori svizzeri hanno pensato di usare un altro tipo di energia, quella idroelettrica del flusso sanguigno generato dal muscolo cardiaco.
Come ha infatti spiegato Alois Pfenniger, a capo dello studio, in un articolo su Ieee Spectrum: “Il cuore produce circa 1,5 watt di potenza idraulica e la nostra intenzione è quella di prenderne circa un milliwatt”, insomma quel tanto necessario ad alimentare non solo un pacemaker, ma anche dispositivi più potenti. Gli scienziati svizzeri hanno quindi creato in laboratorio una serie di piccolissime turbine e ne hanno testato il potenziale energetico all’interno di sottili tubicini simili per struttura e grandezza alle arterie umane. E il risultato non ha deluso le aspettative: fino a 800 microwatt per un modello di turbina.
Raggiunto l’obiettivo energetico, resta aperto un altro problema: il rischio di coaguli. I vortici creati dalle turbine potrebbero infatti portare alla formazione di grumi sanguigni, mettendo a rischio la vita dei pazienti. Ma anche in questo caso una soluzione sembra essere, in parte, già pronta. Paul Roberts della Southampton University Hospitals NHS Trust ha infatti messo a punto un magnete che si muove in risposta alle variazioni di pressione prodotte dal battito cardiaco, generando energia elettrica. A lui e alla sua idea, manca però l’altra metà della mela: la potenza energetica, troppo piccola per far funzionare un pacemaker.
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